Non portatemi via niente,
i miei pochi averi
sono le guerre appiccicate al grasso.
Ho ricordi come creme calde
nei cassetti che mi sono segreti.
Non rubatemi, prego, le sculacciate del dopo scuola
e i quaderni a righe, il sussidiario.
Non potrei stare senza il cappotto di mia madre
appeso e indispensabile.
Mi servono ancora i colori diventati secchi
in ogni tubo ho nascosto le promesse dell’io da grande.
Mi pare nulla quel che ho messo insieme
c’è intorno così tanto da capire e possedere.
Il mio avere è un essere ubiquo.
Io sono l’ultimo banco e tutti i temi in classe
il cannone della bicicletta
l’odiata colonia con le polpette al sugo
sono l’in fila per due e le ginocchia sbucciate
sono il brodino della sera, il babbo che si rade
sono l’amica che consola
il prato di agosto e le conchiglie raccolte
sono il primo reggiseno
il sedile dell’auto dei tentativi al volante
sono i goffi approcci dell’amore.
Non posso lasciare qualcosa, io, che sono già poco.
Mi si lasci quindi ogni singola cosa inutile
ch’è aria per me.
Partite, voi, leggeri e senza bagaglio.
Resto io. Sentinella e custode dell’effimero,
io sono il riassunto.
Sono le arcate gotiche, i fondi oro
sono i film di Monicelli, sono Bergman e Truffaut
i libri letti e gli infiniti da leggere.
Sono gli errori, le occasioni perdute.
Anche le fatiche non posso lasciare
l’umiliazione degli anni interminabili
a creparmi il lavoro e la dignità.
Sono gli aghi nel corpo e i letti d’ospedale.
Andate pure.
A me serve tutto il ridere che ho fatto
il cielo quando è a colori, le botte da orbi
e vi prometto, giuro che è sì,
che mi riempirò ancora, fino a esplodere
fino a che non l’avrò capita,
questa mia vita se è premio o punizione.
Anna Zucchini