
Sono il forno


Non lasciare avvizzire


Non credere facile


Sotto la palpebra


Acrostico
Annoto – su questo quaderno di ritmi
Nuovi versi del labirinto di camere:
Giacimenti dentro i quali girerò
Emozionato come un imbecille.
Lavavo così – da bambino – la coscienza
Annusando le maglie di mia madre.
Giancarlo Giudice

Alessandrini in distici
Con occhi di brace fissava il vuoto;
l’aurea di luce veniva dal vuoto.
Sentiva i pensieri di tutto il mondo:
chiudeva gli occhi come soffrendo
quando la mia ansia come una marea
in un’elettricità sfiniva la linea.
Allora la sua aurea di color rosa
con raggi al quarzo si faceva rossa;
il capo reclinato come in preghiera
avvertiva il peso della mia sfera.
Ho voluto il suo sguardo puro più del cuore
paesaggio di viole per sempre amore.
Ali di anice come cappella
riversò su di me la vita bella:
pepite d’oro come l’orgasmo
dalle ali sottili nel mio organismo;
passione in vena e occhi di stella;
muscoli turgidi e pelle bella.
Alzai le braccia e dalle mia dita
schizzò la bramosia di tutta una vita.
Giancarlo Giudice

Prosa ritmica
Parte lo sguardo davanti, alla stradina che percorro da ore, bagnata dalla pioggia della notte trascorsa;
foglie marroni come la sabbia di Siena, io alzo gli occhi usando un tronco verde come guida:
l’edera che si ripete all’infinito, mentre la vegetazione fosforescente in prospettiva sempre più piccola sulla collina,
fino a quando non si distinguono che punti cromatici ben abbinati di foglie e di bosco che fermentano il cielo di rosso e di giallo, per sempre, nella mia memoria.
Giancarlo Giudice

Lassa
Quando prenderai questo libro
Nila – giudicherai le catene
che tintinneranno – in cadenza
sotto il palato – nella lettura.
Proverai a lasciare – il libro
per non sentire più le catene;
cercherai le altre cadenze:
la realtà – la verità – e via – la lettura.
Giancarlo Giudice

Sestina
(Al mio angelo custode, Gabriele)
L’antigravità lo rendeva bambino
come la carne bianca senza gli ormoni
respirava solamente con l’azoto;
chino sulla mia testa – lui – Perlaceo
mi parlava della conca del cosmo
e delle stelle – come della mia vita.
Conosceva le interconnessioni e la vita
con la lungimiranza dei moti del cosmo;
in me cresceva l’amore per il Perlaceo
e rifiutando i moti degli ormoni
diventavo poi il suo caro bambino:
un canovaccio – di quella sfera d’azoto.
Salimmo – qui – sulle volte d’azoto
dove sembrò il cielo tutto il mio cosmo;
paragonai le comete a ormoni
i moti degli astri a capricci da bambino
che conosce solo una linea di vita
e non si affida ai segreti di Perlaceo.
Però – io mi affidavo al mio Perlaceo!
Rapito – come è di solito un bambino;
mi affidavo ai consigli d’azoto:
i ragionamenti sulla nuova vita;
la visione interiore del mio cosmo;
la guida per gestire i miei ormoni.
E – in effetti – salivo come gli ormoni;
giù – avevo una visuale di vita
completamente sbrogliata – da Perlaceo;
e già la visione eccitava il bambino
che vedeva le particelle d’azoto
che compongono tutti i corpi del mio cosmo.
E vidi i gas primordiali del mio cosmo;
le fughe di luce nei buchi della vita;
l’angoscia come alito d’azoto;
e le volte che aveva cantato – Perlaceo
per me – affinché tornassero gli ormoni
e fossi di nuovo il suo caro bambino.
Mi chiese di non dimenticare che il cosmo
è l’insieme dei pensieri – di Perlaceo;
la linea che lega – a Sé – la nostra vita.
Giancarlo Giudice
