Oggi è una giornata di dolore e tristezza, e noi ci sentiamo vicini alla nostra carissima Tinti, colpita dalla grave perdita del suo Tino. Nell’abbracciarla con tutto il nostro affetto, insieme ai figli ed alle nipotine, noi tutti del Cantiere vogliamo dedicarle un pensiero, e lo facciamo usando il linguaggio che ci è più caro, quello della poesia. Non si tratta di un brano famoso, è una poesia trovata per caso sulla rete cercando dei versi ispirati alle stelle, all’astronomia, la grande passione di Tino. Te la offriamo con il cuore e la nostra amicizia, cara Tinti, e ci stringiamo forte a te in questa difficile ora.
Il Cantiere
§
L’uomo che amava le stelle
C’era una volta un uomo così sognatore
che aveva trascorso gli anni, i mesi, le ore
insomma ogni istante, ogni secondo
non a vivere le cose del mondo,
ma solamente a contare le stelle
lontanissime, splendenti e belle
e poi le annotava su un quaderno voluminoso
senza concedersi mai un po’ di riposo.
Ce n’erano a cinque punte, a sei, a sette …
(erano tutte comunque perfette)
e ce n’era qualcuna così piccolina
da non avere neanche una sola puntina.
Luccicavano tremule nel firmamento
e solo guardandole lui era contento:
nessun’altra cosa gli stava a cuore
nè gli procurava gioia o dolore.
Per poterle osservare con più precisione
si era fatto costruire un alto torrione
(e così in alto arrivava
che le nuvole oltrepassava).
Quella scala di corsa saliva …
Giorno per giorno la vita fuggiva
e lui sempre lì, a contemplare le stelle
che sfavillavano irraggiungibili e belle:
gli sembravano quasi dei fiori
d’argento e d’oro, non di altri colori,
sbocciati in un prato blu come il mare …
ma non li poteva cogliere e nemmeno annusare.
Al principio arrivava in men che non si dica
in cima e gli pareva lieve la sua fatica,
ma ora era fragile e tutto bianco
e ad ogni gradino sempre più stanco,
però seguitava ancora a contare le stelle
luminose, gelide e belle.
Le guardava brillare nel cielo nero
e del loro incantesimo era prigioniero,
ma un giorno alla fine si arrese,
dall’evidenza sconfitto e comprese
che il tempo non gli sarebbe bastato
a completare ciò che aveva iniziato:
non sarebbe riuscito a contare tutte le stelle,
che scintillavano insensibili e belle,
anche se, tra le più grandi e le più piccoline,
gliene mancavano solo poche dozzine,
perché i suoi occhi si erano spenti
e più non distingueva le stelle lucenti.
Ora poteva solo immaginarle
e col rimpianto nel cuore sognarle.
Sentì che se ne andava ormai la sua vita
e prima che fosse del tutto finita
con un filo di voce, accorata e sincera,
rivolse al Cielo una preghiera.
E adesso è il custode di quell’azzurro giardino
e finalmente è così vicino
a quei fiori d’oro che non serve annaffiare
che, non solo li vede, ma li può toccare.
Stardust
(da “Poesia e un po’di noi” http://poesiaeunpodinoi.blog.dada.net/)