Primavera ben presto

Primavera ben presto
sarà fra noi; le sere
s’allungheranno tiepide e una grande
luce vedrai
nelle finestre limpide fiammare.
Barche andranno nel lieve scintillìo
dei remi sopra l’acqua
morbide; e qua cantare
sentirai, nella piazza alta i fanciulli
grideranno. Stupore
ti prenderà, mio cuore.
lo starò sopra questo
tenero davanzale, e lenta arcana
mi tornerà memoria
d’altre sere, e la storia
grande vedrò, smarrita come il mare.

Questa la primavera? E i miei capelli
già lievemente splendono al soave
tocco del tempo, e il viso
già i segni porta, mesti, di bufera.
Presto la luna splenderà frattanto
sopra l’onde serene,
rivelando le barche ed una strada
dorata in mezzo del celeste mare.
E tu più forte udrai
al ballo i passi delle giovanette,
dentro le buie camere da festa
travolte e più gridare
con i fanciulli sentirai le rondini.
Tu starai sola in casa, e la memoria
ti assalirà, dipinta di stupore,
d’altre sere beate.
Che tempo fu? Che strano
paradiso mai quello?
Ricorderai tu, lenta,
mentre la festa aumenta e nelle case
scopre la luna il viso alle fanciulle,
i suoi labili accenti,
gli occhi che ti miravano contenti.
Strana bene è la vita,
reprimendo i lamenti,
e mirando la gran festa, dirai.
E un po’ sarai turbata, quella sera
che già s’accosta, della primavera.

ANNA MARIA ORTESE

Published in: on Maggio 29, 2021 at 07:46  Comments (1)  

Dunque, il male è passato?

narciso-triste

Dunque, il male è passato?
Dunque, non più nel cuore
ritroverò la barbara dolcezza
di un suo sguardo, l’angoscia
di un suo sguardo, l’incanto
che mi faceva bianca trasalire
d’una parola, fosse anche di scherno?
e quell’amato inferno
è scolorito? e viene
la pace? Oh, desolati
giorni! Non voglio, io, pace,
io non voglio destarmi e ritrovare
solo l’orme del male. Ancora voglio
(s’io posso, e piango) il disperato ansare
della tortura, il grido
mio disperato, e il docile guardare
ad i passi del mio torturatore.
Ricchezza trafugata,
che mi beavi, come sei lontana?
E che resta alla mia
giornata eterna, senza male, piana?

ANNA MARIA ORTESE

Published in: on Maggio 3, 2018 at 07:20  Lascia un commento  

Mentre mio padre moriva

Mentre mio padre moriva ti vidi la prima volta.
Da quel tempo sempre stavo con te, ti cercavo,
anche tu mi cercavi: in mezzo alla gente eravamo soli,
trepido il tuo sguardo, triste – contento il mio.
Il primo giorno dell’anno dovevi venire a una festa,
io avevo al collo dei fiori di carta bianca,
piansi quando vidi che erano le tre,
e ancora il tuo volto caro non appariva. Ma il giorno
secondo dell’anno – qualcuno
ti aveva informato – corresti dalla piccola donna,
e tutta la sera per lei come una luna splendesti.
Dicesti dolci parole e non avevi chitarra,
le dame che erano in sala si fecero tristi.
«Bene, è ora di andare». Saliti in vettura,
tu e io come ragazzi, mi guardavi:
io non osavo muovermi. Mi accarezzasti la fronte.
Piegando il viso, vergognandomi, carezzai la tua fronte.
Nascondesti il tuo viso dietro il mio collo. La mano
era ferma sul mio ginocchio. Pensavo:
così fanno tutti, domani neppure si ricorderà.
Ma sono passati due mesi e ogni sera c’incontriamo,
il tuo cappotto è povero, non hai guanti né berretto,
ma la tua fronte ogni sera
è più chiara, i tuoi occhi
più teneri e gravi, la mano
che mi stringe più calda, più forte;
trascorrono ore che paiono solo alcuni momenti.
Al buio camminiamo, ed io
poso la fronte ogni tanto con umiltà sul tuo petto.
Passano case e strade, passano ponti e canali,
passano muti giardini, cade tranquilla la neve.
Le dita intrecciate, le tempie
unite in un solo tepore,
gli occhi vicino agli occhi, come una sola persona
che all’anima sua mormori tenere cose, come
la neve che scende e risale
senza rumore né moto, leggero noi andiamo.

ANNA MARIA ORTESE

Published in: on novembre 27, 2015 at 07:35  Comments (2)