Ricordi di Boris Pasternak

Comincerò da lontano, non da qui ma da là
comincerò dalla fine ma è anche l’inizio.
Il mondo era come il mondo. E questo significava
tutto quello che in questo mondo desiderate.

In quel luogo c’era un bosco, come un orto,
così piccolo e tuttavia ampio.
Là, per un capriccio di errori infantili,
tutto era così e tutto al contrario.

Su una piccola distesa di silenzio
c’era una casa come una casa. E questo significava
che in essa una donna dondolava il capo
e le lampade venivano accese presto.

Là il lavoro era leggero come un compito di scrittura
e qualcuno – noi stessi ancora non lo sapevamo –
da solo faceva perdonare , a furia di preghiere innanzi ai cieli,
il nostro peccato di un imperfetto intelletto.

Di quell’equilibrio tra il bene e il male
egli era colpevole. E la terra volava
sconsideratamente, come voleva,
mentre la candela ardeva sul tavolo.

Si perdonavano e l’ignorante e il bugiardo
-qual è la differenza?- davanti a tutto il mondo
poiché, avendoci permesso di non occuparci di ciò,
egli espiava la colpa universale.

Quando il vuoto da lui lasciato
apparve davanti al mondo, verso oriente,
con una scossa la natura spossata
spostò la gravità dei nostri corpi.

Riuniti in un povero cerchio,
l’immensità ci colse di sorpresa
e dallo squallore delle nostre indegnità
ormai nessuno si riscattava.

In quella casa andavano in molti. E quei
due ragazzini con le camicie a strisce
senza timidezza comparivano nel giardinetto
tra il lampone, che diventava scuro nell’oscurità.

Io mi trovavo per caso lì vicino
ma sono estranea all’abitudine moderna
di stabilire un rapporto impari,
d’essere in amicizia e chiamare per nome.

Di sera avevo l’onore
di guardare la casa e rivolgere una preghiera
alla casa, al giardinetto, al lampone:
quel nome non osavo pronunciarlo.

Era l’autunno ed era soltanto
una conseguenza e non un pegno dell’estate.
Allora ancora nessuno sapeva che questo
circolo dell’anno non sarebbe stato chiuso.

Sfuggendo rigorosamente agli incontri con lui
io andavo tra gli alberi, verso l’ineluttabilità dell’incontro,
verso la spaziosità del suo viso, verso la cantilena del parlare…
Ma fare rime in tuo nome?
Oh, no.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on Maggio 6, 2021 at 07:37  Lascia un commento  

Mutismo

Chi è stato tanto forte e astuto?
Chi mi ha preso la voce?
Non sa pianger per lui la nera
ferita della mia gola.

Le tue semplici azioni, o marzo,
sono degne di lode e d’amore,
ma sono morti gli usignoli delle mie parole,
loro giardino è ormai dizionario.

“Canta di noi!” implorano in coro
la nevicata, il dirupo, il cespuglio.
Grido, ma come il respiro d’inverno
si condensa sulle labbra il mutismo.

L’ispirazione è eccessiva, senza posa
l’anima muta inspira l’attimo fuggente,
non la salverà un altro respiro, ma soltanto
la parola da me pronunciata.

Sospiro, e respiro, e mento:
non devo più nulla
agli alberi coperti di neve
perché non so cantarne la bellezza.

Calmare il battito impazzito,
in ogni modo, o per caso!
E in tutto ciò che ho fretta di cantare
m’identificherò per sempre.

Ma ora che son diventata muta –
E amavo i nomi di tutte le cose,
e sono stanca, son come morta –
sarete voi a cantare di me.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on giugno 6, 2020 at 07:34  Lascia un commento  

Strinsi le mani sotto il velo oscuro

Strinsi le mani sotto il velo oscuro…
“Perché oggi sei pallida?”
Perché d’agra tristezza
l’ho abbeverato fino ad ubriacarlo.

Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore…
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.

Soffocando, gridai: “È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: “Non startene al vento.”

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on marzo 31, 2020 at 07:45  Comments (2)  

Di donne georgiane i nomi

Là nel mare vagabondavano vele
E, indifferenti al caldo,
lenti fiorivano i platani
per poi sfogliarsi a novembre.

E la panchina nell’antico parco
era bianca e massiccia,
e un vago profumo di vite emanavano
di donne georgiane i nomi.

Nomi appena sussurrati
che correvano verso il mare,
e nuotavano come un cigno nero,
dallo strano collo incurvato.

Rideva donna Lamara,
correva sulle pietre all’acqua,
rompendovi i tacchi,
e aveva le labbra truccate di vino.

E bagnati erano i capelli di Medea,
nella cascata di mattina aveva le trecce,
poi le gocce si asciugavano e svanivano,
e sciolti i capelli stavano al sole.

E sopra gli oleandri,
tutti raccolti in un sol fiore,
si librava il nome di Ariadna
per poi dissolversi in lontananza.

Appoggiato alla palafitta
l’imbarcadero sfiorava l’acqua.
“Zisana!” gridavano dalla finestrella
“Natela!” rispondeva una voce…

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on febbraio 2, 2019 at 07:28  Comments (1)  

La Georgia in sogno

La Georgia in sogno– ecco la  felicità!
E  verso il mattino così nitida
è la dolcezza dell’uva,
ispirate sono  le labbra.
Non è questo che rimpiango,
nulla io desidero –
nella dorata Svetitskhoveli
accendo un umile candela.
Alle piccole pietre di Mtskheta
Rendo lode e onore.
Mio Dio, fa che sia così come
adesso nei secoli dei secoli.
Fa che sempre  a me siano note
e che mi ammalino
della nazione natia la dolcezza,
della nazione straniera la tenerezza.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on ottobre 27, 2017 at 07:35  Comments (1)  

Racconto sulla pioggia

Tutto il giorno la pioggia non mi lascia.
“Vattene!”, io le dico rozzamente;
fa quattro passi indietro, poi, devota,
mesta mi segue come una bambina.
Come un’ala, la Pioggia alla mia schiena
s’è incollata. “Vergognati!”, le dico;
“l’ortolano t’invoca lacrimando,
corri dai fiori! Che hai trovato in me?”
Intanto in giro regna un’afa cupa;
dimenticando ogni altra cosa al mondo,
la Pioggia è qui con me, mentre d’intorno
mi danzan i bambini, quasi fossi
la macchina per innaffiare i prati.
M’infilo in un caffè, dentro una nicchia.
Alla finestra, come un accattone,
mi aspetta. Ed all’uscita mi castiga
con uno schiaffo umido sul viso;
ma subito la Pioggia audace e triste
mi lascia sulle labbra un bacio fresco,
che ha il profumo del cucciolo bagnato.
Son buffa col mio fradicio scialletto
legato al collo, mentre sulla spalla
siede la Pioggia come una bertuccia,
e la città si turba; con un dito
mi solletica un lobo. Tutto è secco.
Io sola son bagnata fino alle ossa

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on giugno 21, 2017 at 07:23  Comments (3)  

Crepuscoli

Nei crepuscoli è libertà beata
dalle cifre nette di giorno ed anno
ed epoca. Non ha importanza quando.
la via al profondo è spalancata,
e alla lingua del fuoco.
Non nella guazza che sazia trasecola
d’infiorescenze e neppure nei tronchi
degli alberi riempiti dall’amore,
ci son prove di questo nostro secolo.
Prendine un altro e vivi.
Per smarrimento dell’animo, per pecca
della vista, io sono ritornata
a errare nei viali del passato.
Come riconoscendomi, una vecchia
in disparte mi osserva.
E’ giorno alto e questo luogo è morto.
Ma nei crepuscoli gli occhi son liberi
di vedere una casa, ov’è felice
una famiglia, dove s’aman con trasporto
spropositatamente,
dove attendono sempre ospiti nuovi
ai compleanni, per rumoreggiare,
arrossire, far baciamani, dove
anche me invita una mano, ma dove
mai ospite sarò.
Ma se le loro voci tutte guizzi
posson farsi quiete d’onde e cielo,
di chi sono i fanciulli cinguettanti
sopra i tasti del piano? Di chi i pizzi
ruotan nella sventura?
Ma quando mai concessero la grazia
del saluto ch’è loro, di quel lento
dagli uomini orchestrato antico valzer,
antico segno d’un’altrui mestizia,
e d’un amore altrui?
E’ ancora possibile condurre giochi
per la mente e l’udito, dove agiscan
fiume, albero, vecchia, campo vuoto,
il paese con tre lumini opachi.
Il sorriso indistinto
dell’anima mi va errando là,
lontano, dov’è assenza di memoria,
nella contrada ch’è patria di errore,
di quello strano error che mi darà
estranea lingua e terra.
Ma il senno, per la tenebra in terrore,
ringhia, ritorna in sé, vuol risapere
il disegno distinto delle cose
che son vive, il mio giorno, le mie ore,
il mio tavolo, il letto.
Io vago ancora in un turbine mobile
di rugiade, ma sento l’anatema
che m’invia nel suo barbaro linguaggio,
serrato dentro un pugno irremovibile,
un transistor…

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on novembre 1, 2015 at 06:58  Lascia un commento  

Bufera

Febbraio – tempo d’ira e d’amore –
stranamente brillar fa la distanza;
entro un immenso nord della natura
si sveglian, nudi, i luoghi di vacanza.

E la strada di quattro casucce
si rivela più larga e più lunga
appropriandosi con disinvoltura
e della neve, e della luna tutta.

Come turbina forte! Egualmente
la bufera è a quegli sacrata
che tutti quanti gli alberi e le ville
si vicini teneva alla sua mente

Il dimesso fluire del ruscello,
il brutto, curvo tronco dell’abete
egli ha ritorto in diversa nozione
ricavandone un puro gioiello.

Forse perciò, con adorno mistero,
lo spazio avendo nostalgia di lui,
di quel parlare il murmure delirio
va ripetendo, dentro la sua voce?

E di colpo, per un minuto intero,
sotto il protrarsi della nevicata,
fra quella casa e quel cimitero
l’assidua pena s’è un poco placata.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on agosto 28, 2015 at 07:16  Comments (2)  

Suono premonitore

Suono premonitore, da dieci giorni
ti aspetto sulla strada di Parsino
E ancora aspetto sotto la luna piena.
Suono premonitore, sei qui da qualche parte.
Cadi nella fertilità di una ferita aperta.
Perchè mi segui e ti nascondi?

Suono premonitore, per quanto grande
sia la mia colpa, grande è anche il tormento.
Quale orecchio ti ama come il mio?
Mi dice addio la luna piena.
Ma non ho un suono premonitore.
non ho un suono. Ma c’era prima?

Non dividerò con nessuno la mia luna,
e lei nessun altro amerà.
La vita scopre d’un tratto di essere in punto di morte.
Suono premonitore, eccomi
a giocare con la tua assenza sublunare.

Suono premonitore, perdonami.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on gennaio 19, 2015 at 06:53  Comments (2)  

I vulcani

Tacciono i vulcani spenti.
Cade cenere nella loro pancia.
Lì riposano i giganti, stanchi
dopo i misfatti compiuti.

È sempre più freddo il loro regno,
sempre più greve alle loro spalle,
ma di notte li visitano ancora
peccaminose visioni.

Sognano la città condannata,
ignara del proprio destino,
il basalto, che in arabescate colonne
incornicia i giardini.

Lì bambine raccolgono a bracciate
fiori sbocciati da tempo,
lì baccanti fanno cenni agli uomini
che sorseggiano il vino.

Lì impazza sempre più stupido
un festino, lì volano ingiurie.
Oh, Pompei, bambina mia,
figlia di una regina e di uno schiavo!

Prigioniera della tua buona sorte,
a chi pensavi, a cosa,
quando, intrepida, al Vesuvio
ti appoggiavi col piccolo gomito?

Non ti stancavi di ascoltarne i racconti,
sgranavi gli occhi stupiti
per non sentire i boati
del suo incontenibile amore.

E lui, con la sua fronte perspicace,
proprio allora, sul finire del giorno,
cadde ai tuoi piedi senza vita
e urlò: “Perdonami!”.

BELLA ACHATOVNA ACHMADULINA

Published in: on luglio 14, 2014 at 07:46  Comments (2)