Senz’ali

O del mio mesto april rondine cara,
vieni a volar nella stanzetta mia,
quando l’arte di amplessi, ahi! troppo avara,
del disinganno vittima mi oblia!

Vieni e vedrai, specchio di un tuo sorriso,
la tavolozza mia tutta splendore,
e sentirai, commosse al dolce viso,
la fosche tele sussurrar d’amore…-

Ma, ahi lasso! la gentil mia rondinella
è una debole, trepida fanciulla,
che, sebben come un angelo sia bella,
fu senz’ali posata entro la culla;

e quando esce di casa a far mazzetti
della viola sui margini odorosa,
e a sospirar nei placidi boschetti
il dì che intrecci ghirlanda di sposa,

non vola, no, libera in mezzo al cielo,
ma preme il suolo, e, a colmo di sventura,
la madre ha accanto che le abbassa il velo,
e la dilunga ognor dalle mie mura.

EMILIO PRAGA

Published in: on gennaio 22, 2021 at 07:35  Lascia un commento  

Nevicata

La bella neve! scendete, scendete,
Leggiadri fiocchi danzanti nei cieli;
Come perlucce coprite, pingete
I tetti, i tronchi, la mota e gli steli.
Dacchè l’ottobre, soffiando, spruzzando,
Ingiallì tutta la vasta campagna,
Fuor da’ miei vetri, ove, fievole urtando,
La farfalluccia del freddo si lagna,
Mi morîr cinque di rosa arboscelli,
E spirò l’anima a Dio la violetta;
Senza l’ammanto di viti i cancelli
Sembran soldati disposti in vedetta.
Pur questa notte una mano furtiva
L’innaffiatoio rubommi in giardino!
(Se fu per la fame che alcun lo rapiva,
Iddio nol vegga l’agreste bottino).
Intirizzisco se schiudono l’uscio,
Ma qui la stufa borbotta tepente:
Oh benedetto il mio piccolo guscio,
Per me, nevata, sei tutta innocente!
Fa il tuo mestiere: scendete, scendete,
Leggiadri fiocchi danzanti nei cieli;
Come perlucce coprite, pingete,
I tetti, i tronchi, la mota e gli steli…
Della mia donna nel fervido cuore
Aleggia sempre una brezza gentile,
E quando ricco il poeta è d’amore
Anche il gennaio somiglia all’aprile

EMILIO PRAGA

Published in: on aprile 3, 2020 at 07:10  Lascia un commento  

Il professore di greco

Il lungo e magro professor di greco,
che quasi odiar mi fece il divo Omero,
fu stamane a vedermi al mio studietto.
La tavolozza mia si tinse a nero,
e io lasciando i pennelli con dispetto
il guatai torvo e bieco.

Ché all’entrar suo mi rientrò nel core
tutta la noia dei passati inciampi,
quando fanciullo pallido e sparuto
alle dolci anelavo aure dei campi,
e avrei pei gioghi del Sempion venduto
e Troia e il suo cantore.

Ma poi ch’io vidi l’uom, già in uggia tanto,
incanutito e sofferente e stanco,
l’antica bile mi fuggì dal petto,
e fissai mestamente il suo crin bianco;
egli abbracciommi coll’usato affetto
e mi sedette accanto.

Poi mi narrò de’ suoi lunghi malanni
e delle pene della famigliuola;
sentirsi affranto e avvelenato ormai
dall’afa sempre uguale della scuola,
che fin gli toglie il ricrearsi ai rai
del sole agli ultimi anni.

Indi guardando con occhio d’amore
la stanza piena di festa e di luce,
e le sparse mie tele e gli abbozzetti,
da cui la lieta fantasia traluce,
parea, che desto ai primi ardenti affetti,
chiusi non morti in core,

volesse dirmi: – Oh quanti nuovi lidi,
quanta stesa di cieli e di marine,
tu vedesti, e pur giovane sei tanto!
Ed io?… dei grami dì già presso al fine
che mai conosco di sì vago incanto?
Nulla, mai nulla io vidi!

Talor fra l’aure aperte e la verzura
la mia stanca vecchiezza si riposa,
quand’esco coi figliuoli alla campagna;
ma quell’ora di pace, ahi come vola!
Qual tristezza maggior non m’accompagna
poi fra le chiuse mura! –

Povero vecchio ! – ed io fui crudo tanto
da attristargli la già misera vita?…
Su, versi miei, seguitelo per via,
ditegli voi, che col greco è svanita
ogni rancura, e che quand’egli uscia
dalla mia stanza – ho pianto!

EMILIO PRAGA

Published in: on ottobre 22, 2019 at 07:37  Comments (2)  

Preludio

Noi siamo i figli dei padri ammalati:
aquile al tempo di mutar le piume,
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull’agonia di un nume.

Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
e già all’idolo d’or torna l’umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s’attende invano;

s’attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l’esausta vergine s’abbranca
ai lembi del Sudario…

Casto poeta che l ‘Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu puoi morir!… Degli anticristi è l’ora!
Cristo è rimorto !

O nemico lettor, canto la Noia,
l’eredità del dubbio e dell’ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia, il tuo cielo,
e il tuo loto.

Canto litane di martire e d’empio;
canto gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un tempio,
inginocchiati.

Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,
e l’Ideale che annega nel fango…
Non irrider, fratello, al mio sussurro,
se qualche volta piango,

giacché più del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero!

EMILIO PRAGA

Published in: on dicembre 14, 2017 at 06:55  Comments (1)