Il peccato di maggio

Or così fu; pe ’l bosco andando. Era sottile
la mia compagna e bionda. Su la nuca infantile
due ciocche avean quegli ignei luccicori vermigli
che dà a le chiome antiche il Tadema. Tra i cigli
lunghi gli occhi avean l’iride verde risfavillante
di mille atomi d’oro. Da l’alta erba odorante
ella sorgeva eretta come un vivente stelo.
Andavamo pe ’l bosco, soli. Grandi su ’l cielo
gli alberi parean fusi nel bronzo; ma di sotto
a le scorze, passando, udivamo interrotto
ascendere il pugnace fremito de le linfe
e il romper de le gemme anche udivamo.
O ninfe
amadriadi, occulte ne le estreme radici,
non voi dunque cantaste su ’l passaggio gli auspìci
a l’amore? 

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on giugno 21, 2021 at 07:06  Lascia un commento  

Neve

Scende la neve su la terra madre,
placidamente. E lei bianca riceve
la terra ne’ suoi giusti ozi, da poi
che all’uomo copia di frutti ha partorito.
Guarda il bifolco splendere a’ sudati
campi la neve, mentre siede al desco;
e a lui dal cuor la speme e dal bicchiere
sorride la primizia del vino.
Scendi con pace, o neve; e le radici
difendi e i germi, che daranno ancora
erba molta agli armenti, all’uomo il pane.
Scendi con pace, sì che, al novel tempo,
da te nutriti, lungo il pian ridesto,
corran qual greggia obbedienti i fiumi.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on gennaio 20, 2021 at 07:05  Comments (1)  

Al fiero Abruzzo

Mentre a ’l bel sole de ’l novello aprile
ridono e terra e mare,
e fra’ capelli un zefiro gentile
mi sento folleggiare,
da questa balza che s’eleva ardita
ti guardo, o Sannio mio,
e in cor mi sento rifiorir la vita
con ardente disìo.
Via per l’azzurro tuo ciel radiante
volano i miei pensieri
sì come una fugace e gorgheggiante
torma d’augelli neri;
e le vigili strofe intorno intorno
mi guidano una danza,
le strofe ch’io con tanto amore adorno,
che son la mia speranza.
Ah sì, le calme de ’l tuo ciel divine
mi fecero poeta,
i sorrisi d’un mar senza confine
là tra la mia pineta:
tra la pineta mia dov’ho passati
i momenti più belli,
dove ho goduti i miei sogni dorati
e i canti de gli uccelli;
dov’io disteso su l’erbetta molle
mille volte piangendo
ho rimirato il sol che dietro a ’l colle
si nascondea fulgendo,
o un nuvolo leggero e luminoso
natante via pe ’l cielo
ne l’ampio plenilunio silenzioso
come un argenteo velo;
dove ho provate voluttà sì strane
i murmuri ascoltando
de’ vecchi pini, a cui da lunge un cane
rispondeva latrando,
o la solenne musica de l’onde
che increspandosi appena
venian soavi a le ricurve sponde
a ribaciar l’arena…
E con serene ebrezze la speranza
ne ’l core mi fioria,
mentre i sogni superbi con baldanza
puërile inseguia…
I miei sogni di gloria e libertate
per l’azzurro fuggenti
come una schiera di fanciulle alate
o di meteore ardenti!…
Or co’ giovini mandorli fioriti
a ’l sol rïapron l’ale
gli entusïasmi splendidi sopiti
ne l’inverno glaciale,
e ti mando un saluto, o Sannio fiero,
senza nube d’affanni
con tutto il foco prepotente e altero
de’ miei diciassett’anni!…
Veggo di qui le tue selvagge vette
radïanti di neve,
da cui si slancian simili a saette
l’aquile a l’aer lieve,
e la verde pianura co’ giardini
cui sorridono i fiori
che ne’ vesperi rossi e ne’ mattini
intrecciano gli amori.
Veggo i lavacri de ’l mio bel Pescara,
immane angue d’argento,
co’ i salci e i pioppi giù ne l’acqua chiara
inchinantisi a ’l vento,
con le crete de gli argini fiammanti
d’una follìa di gialli
che dànno a l’acqua tripudî abbaglianti,
splendori di metalli;
e là giù in fondo i colli di Spoltore
sorrisi da gli olivi,
dove le donne cantando d’amore
vanno a stormi giulivi…
Con quale ebrezza su’ tuoi lieti piani
sorvolo galoppando
a un’incognita mèta, i più lontani
orizzonti agognando,
sì come ne gli orrori de ’l deserto
il fiero beduino
tutto di bianco caffettan coperto
galoppa a ’l suo destino!…
Prendi! da l’imo de ’l mio giovin cuore
questo canto t’invio
o patria bella, o mio divino amore,
o vecchio Sannio mio!

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on ottobre 7, 2020 at 07:28  Comments (3)  

In sul vespero

In sul vespero, scendo alla radura.
Prendo col laccio la puledra brada
che ancor tra i denti ha schiuma di pastura.
Tanaglio il dorso nudo, alle difese;
e per le ascelle afferro la naiàda,
la sollevo, la pianto sul garrese.
Schizzan di sotto all’ugne nel galoppo
gli aghi i rami le pigne le cortecce.
Di là dai fossi, ecco il triforme groppo
su per le vampe delle fulve secce.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on ottobre 16, 2018 at 07:47  Lascia un commento  

Stabat nuda aestas

Primamente intravidi il suo piè stretto
scorrere su er gli aghi arsi dei pini
ove estuava l’aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa.
Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la resina gemette giù pe’fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore.

Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.
Scorsi l’ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei fulvi
nell’argento pallàdio trasvolare
senza suono. Più lunghi nella stoppia,
l’allodola balzò dal solco raso,
la chiamò, la chiamò per nome in cielo.
Allora anch’io per nome la chiamai.

Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina il piede le si tolse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.
Il ponente schiumò nei sui capegli.
Immensa apparve, immensa nudità.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on marzo 12, 2018 at 07:39  Comments (3)  

Ferrara

O deserta bellezza di Ferrara,
ti loderò come si loda il volto
di colei che sul nostro cuor s’inclina
per aver pace di sue felicità lontane;
e loderò la chiara
sfera d’aere ed’acque
ove si chiude la mia malinconia divina
musicalmente
E loderò quella che più mi piacque
più delle altre
delle donne morte
e il tenue riso ond’ella mi delude
e l’alta immagine ond’io mi consolo
nella mia mente.
Loderò i tuoi chiostri ove tacque
l’uman dolore avvolto nelle lane
placide e cantò l’usignolo
ebro furente.

Loderò le tue vie piane,
grandi come fiumane,
che conducono all’infinito, chi va solo
col suo pensiero ardente,
e quel loro silenzio ove stanno in ascolto
e quel loro silenzio con le porte che sembrano voler ascoltare
tutte le porte
se il fabro occulo batte su l’incude,
e il sogno di voluttà che sta sepolto
sotto le pietre nude con la tua sorte.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on gennaio 8, 2018 at 07:29  Comments (2)  

Romanza

Prono, su ‘l mar natale
cui nasconde la duna,
ride il sole autunnale,
dolce come la luna.

S’ode il mare pe ‘l lido
gemere, lento e grave;
s’ode talora il grido
fievole d’una nave

che faticosa in vano
lotta co ‘l vento avverso,
o il richiamo lontano
d’un uccello disperso,

o l’improvviso tuono
d’un’onda più gagliarda.
Ride il sole, già prono,
e dolcemente guarda.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on settembre 2, 2017 at 07:16  Comments (5)  

Nella belletta

Nella belletta i giunchi hanno l’odore
delle persiche mézze e delle rose
passe, del miele guasto e della morte.
Or tutta la palude è come un fiore
lutulento che il sol d’agosto cuoce,
con non so che dolcigna afa di morte.
Ammutisce la rana, se m’appresso.
Le bolle d’aria salgono in silenzio.

GABRIELE D’ANNUNZIO

Published in: on ottobre 2, 2016 at 07:41  Comments (1)  

Lungo l’Affrico (nella sera di giugno dopo la pioggia)

.
Grazia del ciel, come soavemente
ti miri ne la terra abbeverata,
anima fatta bella dal suo pianto!
O in mille e mille specchi sorridente
grazia, che da la nuvola sei nata
come la voluttà nasce dal pianto,
musica nel mio canto
ora t’effondi, che non è fugace,
per me trasfigurata in alta pace
a chi l’ascolti.
Nascente Luna, in cielo esigua come
il sopracciglio de la giovinetta
e la midolla de la nova canna,
sì che il più lieve ramo ti nasconde
e l’occhio mio, se ti smarrisce, a pena
ti ritrova, pe ‘l sogno che l’appanna,
Luna, il rio che s’avvalla
senza parola erboso anche ti vide;
e per ogni fil d’erba ti sorride,
solo a te sola.
O nere e bianche rondini, tra notte
e alba, tra vespro e notte, o bianche e nere
ospiti lungo l’Affrico notturno!
Volan elle sì basso che la molle
erba sfioran coi petti, e dal piacere
il loro volo sembra fatto azzurro.
Sopra non ha sussurro
l’arbore grande, se ben trema sempre.
Non tesse il volo intorno a le mie tempie
fresche ghirlande?
E non promette ogni lor breve grido
un ben che forse il cuore ignora e forse
indovina se udendo ne trasale?
S’attardan quasi immemori del nido,
e sul margine dove son trascorse
par si prolunghi il fremito dell’ale.
Tutta la terra pare
argilla offerta all’opera d’amore,
un nunzio il grido, e il vespero che muore
un’alba certa.
.
GABRIELE D’ANNUNZIO
Published in: on aprile 16, 2016 at 06:51  Comments (1)  

Dormono l’acque

Dormono l’acque ne ‘l plenilunio di giugno;

ritte su da la darsena le antenne stan
come sottili fantasimi a ‘l nivëo chiarore.
Via co ‘l grecale tacito navigan le nubi a fiocchi,
migrano placidi gli sciami de’ sogni
Non senti, o Lalla, il divino odor de ‘l mare?
Non odi?
le acque destate un fremito recano lungo;
su ‘l vento palpita un’ala di canto.
Stanotte le sirene danzano a la luna;
danzano, Lalla, e il canto
– O giovini a cui ne ‘l vivo cuor,
ne le arterie tripudiano i giugni odorosi, prono è il mar,
la notte è bella: amate! – susurra.
Bianche le nubi perdonsi via pe’ silenzî,
migrano placidi gli sciami de’ sogni.
Non senti, o Lalla, il divino odor de ‘l mare?
 .
GABRIELE D’ANNUNZIO
Published in: on luglio 1, 2015 at 07:08  Comments (1)