Santa Maria degli Angeli

Frate Francesco, quanto d’aere abbraccia
questa cupola bella del Vignola,
dove incrociando a l’agonia le braccia
nudo giacesti su la terra sola!

E luglio ferve e il canto d’amor vola
nel pian laborloso Oh che una traccia
diami il canto umbro de la tua parola,
l’umbro cielo mi dia de la tua faccia!

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on dicembre 15, 2020 at 06:59  Comments (1)  

Presso l’urna di Percy Bisshe Shelley

Lalage, io so qual sogno ti sorge dal cuore profondo,
so quai perduti beni l’occhio tuo vago segue.
L’ora presente è in vano, non fa che percuotere e fugge
sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.
Pone l’ardente Clio su ’l monte de’ secoli il piede
robusto, e canta, ed apre l’ali superbe al cielo.
Sotto di lei volante si scuopre ed illumina l’ampio
cimitero del mondo, ridele in faccia il sole
De l’età nuova, strofe, pensier de’ miei giovini anni,
volate omai secure verso gli antichi amori;
Volate pe’ cieli, pe’ cieli sereni, a la bella
isola risplendente di fantasia ne’ mari.
Ivi poggiati a l’aste Sigfrido ed Achille alti e biondi
erran cantando lungo il risonante mare:
Dà fiori a quello Ofelia sfuggita al pallido amante,
dal sacrificio a questo Ifïanassa viene.
Sotto una verde quercia Rolando con Ettore parla.
sfolgora Durendala d’oro e di gemme al sole:
Mentre al florido petto richiamasi Andromache il figlio,
Alda la bella, immota, guarda il feroce sire.
Conta re Lear chiomato a Edippo errante sue pene,
con gli occhi incerti Edippo cerca la Sfinge ancora:
la pia Cordelia chiama – Deh, o bianca Antigone, vieni!
vieni, o greca sorella! Cantiam la pace a i padri.
Elena e Isotta vanno pensose per l’ombra de i mirti.
il vermiglio tramonto ride a le chiome d’oro:
Elena guarda l’onde: re Marco ad Isotta le braccia
apre, ed il biondo capo su la gran barba cade.
Con la regina scota su ’l lido nel lume di luna
sta Clitennestra: tuffan le bianche braccia in mare,
e il mar rifugge gonfio di sangue fervido: il pianto
de le misere echeggia per lo scoglioso lido.
Oh lontana a le vie dei duri mortali travagli
isola de le belle, isola de gli eroi,
Isola de’ poeti! Biancheggia l’oceano d’intorno,
volano uccelli strani per il purpureo cielo.
Passa crollando i lauri l’immensa sonante epopea
come turbin di maggio sopra ondeggianti piani;
O come quando Wagner possente mille anime intona
a i cantanti metalli; trema agli umani il core.
Ah, ma non ivi alcuno de’ nuovi poeti mai surse,
se non tu forse, Shelley, spirito di titano
entro virginee forme: dal divo complesso di Teti
Sofocle a volo tolse te fra gli eroici cori.
O cuor de’ cuori, sopra quest’urna che freddo ti chiude
odora e tepe e brilla la primavera in fiore.
O cuor de’ cuori, il sole divino padre ti avvolge
de’ suoi raggianti amori, povero muto cuore.
Fremono freschi i pini per l’aura grande di Roma:
tu dove sei, poeta del liberato mondo?
Tu dove sei? m’ ascolti? Lo sguardo mio umido fugge
oltre l’aurelïana cerchia su ’l mesto piano.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on marzo 4, 2020 at 07:23  Comments (1)  

Sul Monte Mario

Solenni in vetta a Monte Mario stanno
nel luminoso cheto aere i cipressi,
e scorrer muto per i grigi campi
mirano il Tebro,

mirano al basso nel silenzio Roma
estendersi, e, in atto di pastor gigante
su grande armento vigile, davanti
sorger San Pietro.

Mescete in vetta al luminoso colle,
mescete, amici, il biondo vino, e il sole
vi si rifranga: sorridete, o belle:
diman morremo.

Lalage, intatto a l’odorato bosco
lascia l’alloro che si gloria eterno,
o a te passando per la bruna chioma
splenda minore.

A me tra ’l verso che pensoso vola
venga l’allegra coppa ed il soave
fior de la rosa che fugace il verno
consola e muore.20

Diman morremo, come ier moriro
quelli che amammo: via da le memorie,
via da gli affetti, tenui ombre lievi
dilegueremo.

Morremo; e sempre faticosa intorno
de l’almo sole volgerà la terra,
mille sprizzando ad ogni istante vite
come scintille;

vite in cui nuovi fremeranno amori,
vite che a pugne nuove fremeranno,
e a nuovi numi canteranno gl’inni
de l’avvenire.

E voi non nati, a le cui man’ la face
verrà che scórse da le nostre, e voi
disparirete, radïose schiere,
ne l’infinito.

Addio, tu madre del pensier mio breve,
terra, e de l’alma fuggitiva! quanta
d’intorno al sole aggirerai perenne
gloria e dolore!

fin che ristretta sotto l’equatore
dietro i richiami del calor fuggente
l’estenuata prole abbia una sola
femina, un uomo,

che ritti in mezzo a’ ruderi de’ monti,
tra i morti boschi, lividi, con gli occhi
vitrei te veggan su l’immane ghiaccia,
sole, calare.

GIOSUE’ CARDUCCI


Published in: on giugno 29, 2019 at 07:10  Comments (2)  

Funere mersit acerbo

O tu che dormi là su la fiorita
Collina tòsca, e ti sta il padre a canto;
Non hai tra l’erbe del sepolcro udita
Pur ora una gentil voce di pianto ?

E’ il fanciulletto mio, che a la romita
Tua porta batte: ei che nel grande e santo
Nome te rinnova, anch’ei  la vita
Fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.

Ahi no ! giocava per le pinte aiole,
E arriso pur di visïon leggiadre
L’ombra l’avvolse, ed a le fredde e sole

Vostre rive lo spinse. Oh, giù ne l’adre
Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole
Ei volge il capo ed a chiamar la madre.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on dicembre 18, 2018 at 07:25  Comments (1)  

Virgilio

Come, quando su’ campi arsi la pia
Luna imminente il gelo estivo infonde,
Mormora al bianco lume il rio tra via
Riscintillando tra le brevi sponde;

E il secreto usignuolo entro le fronde
Empie il vasto seren di melodia,
Ascolta il viatore ed a le bionde
Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;

Ed orba madre, che doleasi in vano,
Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
E in quel diffuso albor l’animo queta;

Ridono in tanto i monti e il mar lontano,
Tra i grandi arbor la fresca aura sospira:
Tale il tuo verso a me, divin poeta.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on settembre 25, 2018 at 07:09  Lascia un commento  

Il bove

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
Giro de’ pazïenti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto
Il divino del pian silenzio verde.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on marzo 27, 2018 at 07:14  Comments (3)  

Courmayeur

Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi dischiusa
o pia Courmayeur, ti saluto.
Te da la gran Giurassa, da l’ardua Grìvola bella
il sole più amabile arride.
Blandi misteri a te su’ boschi d’abeti imminente
la gelida luna diffonde,
mentre co ‘l fiso albor da gli ermi ghiacciai risveglia
fantàsime ed ombre moventi.
Te la vergine Dora, che sa le sorgive de’ fonti
e sa le genti le cune,
cèrula irriga, e canta; gli arcani ella canta de l’Alpi,
e i carmi de’ popoli  e l’armi.
De la valanga il tuon da l’orrida  Brenva rintrona
e rotola giù per neri antri:
sta su ‘l verone in fior la vergine e tende lo sguardo,
e i verni passti ripensa.
Ma da’ pendenti prati di rosso papavero allegri
tra gli orzi e le segali bionde
spicca l’alauda il vol trillando l’aerea canzone:
io medito i carmi sereni.
Salve o pia Courmayeur, che l’ultimo riso d’Italia
al piè del gigante de l’Alpi
rechi soave! Te, datrice di posa e di canti,
io reco nel verso d’Italia.
Va su’ tuoi verdi l’ombrìa de le nubi fuggenti,
e va su’ miei spirti la musa.
Amo al lucido e freddo mattin da’ tuoi sparsi casali
il fumo che ascende e s’avvolge
bigio al bianco vapor da l’arte de’ monti smarrito
nel cielo divino. Si perde
l’anima in lento error: vien da le compiante memorie
e attinge l’eterne speranze.

 

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on gennaio 1, 2018 at 07:43  Comments (5)  

Alle fonti del Clitunno

Ancor dal monte, che di foschi ondeggia
frassini al vento mormoranti e lunge
per l’aure odora fresco di silvestri
salvie e di timi,
scendon nel vespero umido, o Clitumno,
a te le greggi: a te l’umbro fanciullo
la riluttante pecora ne l’onda
immerge, mentre
vèr’ lui dal seno de la madre adusta,
che scalza siede al casolare e canta,
una poppante volgesi e dal viso
tondo sorride:
pensoso il padre, di caprine pelli
l’anche ravvolto come i fauni antichi,
regge il dipinto plaustro e la forza
de’ bei giovenchi,
de’ bei giovenchi dal quadrato petto,
erti su ‘l capo le lunate corna,
dolci ne gli occhi, nivei, che il mite
Virgilio amava.
Oscure intanto fumano le nubi
su l’Apennino: grande, austera, verde
da le montagne digradanti in cerchio
l’Umbria guarda.
Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte
nume Clitumno! Sento in cuor l’antica
patria e aleggiarmi su l’accesa fronte
gl’itali iddii.
Chi l’ombre indusse del piangente salcio
su’ rivi sacri ? ti rapisca il vento
de l’Apennino, o molle pianta, amore
d’umili tempi!
Qui pugni a’ verni e arcane istorie frema
co ‘l palpitante maggio ilice nera,
a cui d’allegra giovinezza il tronco
l’edera veste:
qui folti a torno l’emergente nume
stieno, giganti vigili, i cipressi;
e tu fra l’ombre, tu fatali canta
carmi, o Clitumno.
0 testimone di tre imperi, dinne
come il grave umbro ne’ duelli atroce
cesse a l’astato velite e la forte
Etruria crebbe:
di’ come sovra le congiunte ville
dal superato Cimino a gran passi
calò Gradivo poi, piantando i segni
fieri di Roma.
Ma tu placavi, indigete comune
italo nume, i vincitori a i vinti,
e, quando tonò il punico furore
dal Trasimeno,
per gli antri tuoi salì grido, e la torta
lo ripercosse buccina da i monti:
— O tu che pasci i buoi presso Mevania
caliginosa,
e tu che i proni colli ari a la sponda
del Nar sinistra, e tu che i boschi abbatti
sovra Spoleto verdi o ne la marzia
Todi fai nozze,
lascia il bue grasso tra le canne, lascia
il torel fulvo a mezzo solco, lascia
ne l’inclinata quercia il cuneo, lascia
la sposa a l’ara;
e corri, corri, corri! con la scure
corri e co’ dardi, con la clava e l’asta!
corri! minaccia gl’itali penati
Annibal diro. —
Deh come rise d’alma luce il sole
per questa chiostra di bei monti, quando
urlanti vide e ruinanti in fuga
l’alta Spoleto
i Mauri immani e i numídi cavalli
con mischia oscena, e, sovra loro, nembi
di ferro, flutti d’olio ardente, e i canti
de la vittoria!
Tutto ora tace. Nel sereno gorgo
la tenue miro saliente vena:
trema, e d’un lieve pullular lo specchio
segna de l’acque.
Ride sepolta a l’imo una foresta
breve, e rameggia immobile: il diaspro
par che si mischi in flessuosi amori
con l’ametista.
E di zaffiro i fior paiono, ed hanno
de l’adamante rigido i riflessi,
e splendon freddi e chiamano a i silenzi
del verde fondo.
A piè de i monti e de le querce a l’ombra
co’ fiumi, o Italia, è de’ tuoi carmi il fonte.
Visser le ninfe, vissero: e un divino
talamo è questo.
Emergean lunghe ne’ fluenti veli
naiadi azzurre, e per la cheta sera
chiamavan alto le sorelle brune
da le montagne,
e danze sotto l’imminente luna
guidavan, liete ricantando in coro
di Giano eterno e quanto amor lo vinse
di Camesena.
Egli dal cielo, autoctona virago
ella: fu letto l’Apennin fumante:
velaro i nembi il grande amplesso, e nacque
l’itala gente.
Tutto ora tace, o vedovo Clitumno,
tutto: de’ vaghi tuoi delúbri un solo
t’avanza, e dentro pretestato nume
tu non vi siedi.
Non più perfusi del tuo fiume sacro
menano i tori, vittime orgogliose,
trofei romani a i templi aviti: Roma
più non trionfa.
Più non trionfa, poi che un galileo
di rosse chiome il Campidoglio ascese,
gittolle in braccio una sua croce, e disse
— Portala, e servi. —
Fuggir le ninfe a piangere ne’ fiumi
occulte e dentro i cortici materni,
od ululando dileguaron come
nuvole a i monti,
quando una strana compagnia, tra i bianchi
templi spogliati e i colonnati infranti,
procedé lenta, in neri sacchi avvolta,
litaniando,
e sovra i campi del lavoro umano
sonanti e i clivi memori d’impero
fece deserto, et il deserto disse
regno di Dio.
Strappar le turbe a i santi aratri, a i vecchi
padri aspettanti, a le fiorenti mogli;
ovunque il divo sol benedicea,
maledicenti.
Maledicenti a l’opre de la vita
e de l’amore, ei deliraro atroci
congiugnimenti di dolor con Dio
su rupi e in grotte;
discesero ebri di dissolvimento
a le cittadi, e in ridde paurose
al crocefisso supplicarono, empi,
d’essere abietti.
Salve, o serena de l’Ilisso in riva,
o intera e dritta a i lidi almi del Tebro
anima umana! i foschi dí passaro,
risorgi e regna.
E tu, pia madre di giovenchi invitti
a franger glebe e rintegrar maggesi
e d’annitrenti in guerra aspri polledri
Italia madre,
madre di biade e viti e leggi eterne
ed inclite arti a raddolcir la vita,
salve! a te i canti de l’antica lode
io rinnovello.
Plaudono i monti al carme e i boschi e l’acque
de l’Umbria verde: in faccia a noi fumando
ed anelando nuove industrie in corsa
fischia il vapore.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on luglio 12, 2017 at 07:47  Comments (4)  

Egle

Stanno nel grigio verno pur d’edra e di lauro vestite
ne l’Appia tristal le ruinose tombe.

Passan pe ‘l ciel turchino
che stilla ancor da la pioggia
avanti al sole lucide nubi bianche.

Egle, levato il capo vèr’ quella serena promessa
di primavera, guarda le nubi e il sole.

Guarda; e innanzi a la bella sua fronte
più ancora che al sole
ridon le nubi sopra le tombe antiche.

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on dicembre 2, 2016 at 07:44  Comments (1)  

Il canto dell’amore

Oh bella a’ suoi be’ dí Rocca Paolina
Co’ baluardi lunghi e i sproni a sghembo!
La pensò Paol terzo una mattina
Tra il latin del messale e quel del Bembo.
— Quel gregge perugino in tra i burroni
Troppo volentier— disse — mi si svia.
Per ammonire, il padre eterno ha i tuoni
Io suo vicario avrò l’artiglieria.
Coelo tonantem canta Orazio, e Dio
Parla tra i nembi sovra l’aquilon.
Io dirò co’ i cannoni: O gregge mio,
Torna a i paschi d’Engaddi e di Saron.
Ma, poi che noi rinnovelliamo Augusto,
Odi, Sangallo: fammi tu un lavoro
Degno di Roma, degno del tuo gusto,
E del ponteficato nostro d’oro. —
Disse: e il Sangallo a la fortezza i fianchi
Arrotondò qual di fiorente sposa:
Gittolle attorno un vel di marmi bianchi,
Cinse di torri un serto a l’orgogliosa.
La cantò il Molza in distici latini;
E il paracleto ne la sua virtú
Con più che sette doni a i perugini
In bombe e da’ mortai pioveva giú.
Ma il popolo è, ben lo sapete, un cane,
E i sassi addenta che non può scagliare,
E specialmente le sue ferree zane
Gode ne le fortezze esercitare;
E le sgretola; e poi lieto si stende
Latrando su le pietre ruinate,
Fin che si leva e a correr via riprende
Verso altri sassi ed altre bastonate.
Cosí fece in Perugia. Ove l’altera
Mole ingombrava di vasta ombra il suol
Or ride amore e ride primavera,
Ciancian le donne ed i fanciulli al sol.
E il sol nel radiante azzurro immenso
Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano
Folgora, e con desío d’amor piú intenso
Ride a’ monti de l’Umbria e al verde piano.
Nel roseo lume placidi sorgenti
I monti si rincorrono tra loro,
Sin che sfumano in dolci ondeggiamenti
Entro vapori di viola e d’oro.
Forse, Italia, è la tua chioma fragrante
Nel talamo, tra’ due mari, seren,
Che sotto i baci de l’eterno amante
Ti freme effusa in lunghe anella al sen?
Io non so che si sia, ma di zaffiro
Sento ch’ogni pensiero oggi mi splende,

Sento per ogni vena irmi il sospiro
Che fra la terra e il ciel sale e discende.
Ogni aspetto novel con una scossa
D’antico affetto mi saluta il core,
E la mia lingua per sé stessa mossa
Dice a la terra e al cielo, Amore, Amore.
Son io che il cielo abbraccio, o da l’interno
Mi riassorbe l’universo in sé?…
Ahi, fu una nota del poema eterno
Quel ch’io sentiva e picciol verso or è.
Da i vichi umbri che foschi tra le gole
De l’Apennino s’amano appiattare;
Da le tirrene acròpoli che sole
Stan su i fioriti clivi a contemplare;
Da i campi onde tra l’armi e l’ossa arate
La sventura di Roma ancor minaccia;
Da le rocche tedesche appollaiate
Sí come falchi a meditar la caccia;
Da i palagi del popol che sfidando
Surgon neri e turriti incontro a lor;
Da le chiese che al ciel lunghe levando
Marmoree braccia pregano il Signor;
Da i borghi che s’affrettan di salire
Allegri verso la cittade oscura,
Come villani c’hanno da partire
Un buon raccolto dopo mietitura;
Da i conventi tra i borghi e le cittadi
Cupi sedenti al suon de le campane,
Come cuculi tra gli alberi radi
Cantanti noie ed allegrezze strane;
Da le vie, da le piazze gloriose,
Ove, come del maggio ilare a i dì
Boschi di querce e cespiti di rose,
La libera de’ padri arte fiorì;
Per le tenere verdi messi al piano,
Pe’ vigneti su l’erte arrampicati,
Pe’ laghi e’ fiumi argentei lontano,
Pe’ boschi sopra i vertici nevati,
Pe’ casolari al sol lieti fumanti
Tra stridor di mulini e di gualchiere,
Sale un cantico solo in mille canti,
Un inno in voce di mille preghiere:
— Salute, o genti umane affaticate!
Tutto trapassa e nulla può morir.
Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate.
Il mondo è bello e santo è l’avvenir. —
Che è che splende su da’ monti, e in faccia
Al sole appar come novella aurora?
Di questi monti per la rosea traccia

Passeggian dunque le madonne ancora?
Le madonne che vide il Perugino
Scender ne’ puri occasi de l’aprile,
E le braccia, adorando, in su ‘l bambino
Aprir con deità cosí gentile?
Ell’è un’altra madonna, ell’è un’idea
Fulgente di giustizia e di pietà:
Io benedico chi per lei cadea,
Io benedico chi per lei vivrà.
Che m’importa di preti e di tiranni?
Ei son più vecchi de’ lor vecchi dei.
Io maledissi al papa or son dieci anni,
Oggi co ‘l papa mi concilierei.
Povero vecchio, chi sa non l’assaglia
Una deserta volontà d’amare!
Forse, ei ripensa la sua Sinigaglia
Sí bella a specchio de l’adriaco mare.
Aprite il Vaticano. Io piglio a braccio
Quel di sé stesso antico prigionier.
Vieni: a la libertà brindisi io faccio:
Cittadino Mastai, bevi un bicchier!

GIOSUE’ CARDUCCI

Published in: on settembre 27, 2015 at 07:47  Comments (1)