Ode farmaceutica

Ho sognato un mar di laudano
Denso, nero e sterminato,
Come un piano formidabile
Di sciroppo concentrato.
Sovra l’onde immote e brune,
Tra i vapor del zafferano,
Svolazzavano importune
Molte mosche di Milano.

Io, per far con meno incomodo
Di quel mar la traversata,
Mi recai sul porto prossimo
E vi presi una fregata.
Il suo nome si leggea
Scritto a lettere d’un metro
Vale a dir FARMACOPEA,
E l’avea per dietro.

Grossi e ritti erano gli alberi
Con le vele di cerotto,
Con le sarte e le gomene
Verniciate di decotto;
E la nave fabbricata
Di campeggio e legno quassio
Era tutta incatramata
Di ioduro di potassio.

Drappeggiati in negre tonache
Molti giovani assistenti
Impastavano le pillole
Lassative o astringenti,
Le supposte, i vescicanti
E gli empiastri da enfiagione
Da servire ai naviganti
A merenda e colazione.

Un po’ il foco che facevano,
Un po’ il caldo naturale,
In quel tanfo farmaceutico
Mi sentivo venir male;
Per cui visto un recipiente,
Ci sedei sopra di botto
E, vedendo un assistente,
Chiamai forte – Ehi, giovinotto! –

– Che comanda? – chiese il giovane –
Vuol di malva una infusione?
Vuol copaive in mucilaggine?
Preferisce una iniezione?
Adirata io ribattei:
– Non son quella che credete!
Non ho il male che avrà lei:
Ho soltanto un po’ di sete.-

– Sete? – disse – il male é piccolo
E guarir con l’acqua suole:
Ma se d’acqua ella desidera,
Mi dirà come la vuole.
Forestiera o del paese?
Vuol Tettuccio o Castrocaro?
Vuol un po’ d’acqua ungherese
O un bicchier di sale amaro?-

– Voglio solo acqua purissima! –
Furibonda allor gli osservo.
Mi rispose: – Va benissimo,
Ma in che modo gliela servo?
Perchè buono e da sapersi
Che da noi s’usa di bere
In due modi assai diversi;
O per bocca o per clistere.-

Detto fatto e dalla tonaca
Con un gesto pittoresco
Tirò fuori una gran cannula,
Un affare gigantesco,
E mentr’io gridava: – Ehi, sente…
Lei m’ha preso per isbaglio! –
Quel birbone d’assistente
Lo puntava nel bersaglio.

Se non era che voltandomi
Torsi il fianco un poco a destra,
Quell’infame di flebotomo
Scaricava la balestra;
Ma, insistendo l’animale,
Ne successe un serra serra
E, com’era naturale,
Tutto il brodo ando’ per terra.

Io credeva d’esser libera,
Ma mi accadde un altro guaio
Ch’egli prese diero a corrermi
Col pestello del mortaio.
Un orrore, uno spavento,
Un battaglio da museo,
Una razza di strumento
Da sfondare un mausoleo!

Io già stavo per soccombere
Alla orribile balista,
Ma gridai – Galeno salvami,
da quest’empio farmacista! –
E ad un tratto, e fu un enigma,
Spirò un’aria purgativa
Che pareva un borborigma…
E sbarcai sull’altra riva.

OLINDO GUERRINI

Published in: on novembre 18, 2013 at 07:20  Comments (4)  

Il canto dell’odio

Odio

Quando tu dormirai dimenticata sotto la terra grassa
E la croce di Dio sarà piantata ritta sulla tua cassa
Quando ti coleran marcie le gote entro i denti malfermi
E nelle occhiaie tue fetenti e vuote brulicheranno i vermi,
per te quel sonno che per altri è pace sarà strazio novello
e un rimorso verrà freddo, tenace, a morderti il cervello.
Un rimorso acutissimo ed atroce verrà nella tua fossa
A dispetto di Dio, della sua croce, a rosicchiarti l’ossa.
Io sarò quel rimorso. Io te cercando entro la notte cupa
Lamia che fugge il dì, verrò latrando come latra una lupa;
Io con quest’ugne scaverò la terra per te fatta letame
E il turpe legno schioderò che serra la tua carogna infame.
Oh, come nel tuo core ancor vermiglio sazierò l’odio antico,
Oh, con che gioia affonderò l’artiglio nel tuo ventre impudico!
Sul tuo putrido ventre accoccolato io poserò in eterno,
Spettro della vendetta e del peccato, spavento dell’inferno:

Ed all’orecchio tuo che fu sì bello sussurrerò implacato
Detti che bruceranno il tuo cervello come un ferro infuocato.
Quando tu mi dirai: perché mi mordi e di velen m’imbevi?
Io ti risponderò: non ti ricordi che bei capelli avevi?
Non ti ricordi dei capelli biondi che ti coprian le spalle
E degli occhi nerissimi, profondi, pieni di fiamme gialle?
E delle audacie del tuo busto e della opulenza dell’anca?
Non ti ricordi più com’eri bella, provocatrice e bianca?
Ma non sei dunque tu che nudo il petto agli occhi altrui porgesti
E, spumante Licisca, entro al tuo letto passar la via facesti?
Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati spalancasti le braccia,
Che discendesti a baci innominati e a me ridesti in faccia?
Ed io t’amavo, ed io ti son caduto pregando innanzi e, vedi,
Quando tu mi guardavi, avrei voluto morir sotto ai tuoi piedi.
Perché negare – a me che pur t’amavo – uno sguardo gentile,
Quando per te mi sarei fatto schiavo, mi sarei fatto vile?
Perché m’hai detto no quando carponi misericordia chiesi
E sulla strada intanto i tuoi lenoni aspettavan gli inglesi?
Hai riso? Senti! Dal sepolcro cavo questa tua rea carogna,
Nuda la carne tua che tanto amavo l’inchiodo sulla gogna,
E son la gogna i versi ov’io ti danno al vituperio eterno,
A pene che rimpianger ti faranno le pene dell’inferno.
Qui rimorir ti faccio, oh maledetta, piano a colpi di spillo,
E la vergogna tua, la mia vendetta tra gli occhi ti sigillo.

OLINDO GUERRINI

Published in: on gennaio 30, 2013 at 07:45  Comments (6)