Gerico

È raro sentire cantare in strada
molto più raro sentire fischiare
o fischiettare
se qualcuno lo fa
l’aria sembra fargli spazio
ti sembra che un refolo muova
la flora dei tuoi pensieri
ti metta dove prima non eri;
ma come passa chi fischia
la noia stende le vertebre al sole
e tu rientri dov’eri
dietro il douglas dei serramenti
dentro il livore
degli appartamenti
al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
da quali trombe scosse
scrollate le mura
per quali brecce potremo vedere
– fresca –
come un sogno appena sbucciato
la terra che calpesteremo, allegri.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on febbraio 16, 2021 at 07:33  Lascia un commento  

Ipermercato, mezzogiorno

Aspetto in macchina qualcuno,
uno esce, va veloce, ha pagato;
il piazzale caldo, gli smalti caldi
delle carrozzerie
poi anche una bella esce, ma bella,
come un sentiero che si apre
i pantaloni leggeri
che portano via, quanto il vento,
desideri
e dopo escono madri, bambini e madri
coppie di anziani
e altri, escono, e altre vestite
come le pagine che hanno sfogliate
e poi sono solo, in macchina, e aspetto
e sudano i pollici giocando sul volante
sono solo e non penso e non vedo,
nel retrovisore, che il mio vedere
ma liscio
ma indecifrato come un sacrificio
e fuori il piazzale è un’aria diamante
e fuori è il mio non ci sono portato qui
e sopra scoppia, nel sole, l’ostensione del sole.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on ottobre 17, 2020 at 06:54  Lascia un commento  

Il calabrone

C’è un’ansietà d’attesa nella stanza:
il calabrone è un acino di rabbia.
Ha descritto da parete a parete
spigoli d’aria. Ha cabrato e picchiato.
Sfiorato sul tavolo frontespizi
e costole, cime di suppellettili
le rime di me trascritte sui fogli.
Ho spalancato tutte le finestre,
abbandonati i fogli. Fuori il sole
è fiorito sui rami, sorridente
fra me che scrivo e la parola niente.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on giugno 7, 2020 at 07:49  Comments (2)  

Assetto di volo

Con lui venivano una determinazione feroce
dalla camera alla palestra
i cento metri percorsi in cinque minuti,
con una tensione di motore imballato
tutta la forza del suo corpo spastico
ribellata alla forza di gravità.

Sant’Agostino diceva che perfezione
è la carne che si fa spirito, lo spirito che si fa carne
ma non è vero: ogni mattina i puntali delle stampelle
scivolano metro a metro per guadagnarne cento
ogni mattina lo spirito è tagliato via da quel corpo,
dalle suole strascicanti e dalle nocche strette,
bianche sulle impugnature,
ogni mattina dal dorso di lottatore
si stacca un collo di tendini tesi e redini allentate
un urlo chiuso nella sua profondità,
perfetto nella sua separazione.

E io vi vedo una bellezza di cimieri abbattuti
e dentro la parola andare la parola compimento
e sono sicuro che lui sogna baci pieni di vento
mentre la volontà conquista le giornate a morsi,
schiaffo dopo schiaffo perché venga la sera
schiaffo dopo schiaffo, chiglia in piena bufera.

Ci vuole un’estate piena e un padre calmo,
un dio non assiso in mezzo agli sconfitti
ma cosí in tutta bellezza lo posso immaginare
come un bambino alle prime pedalate,
reggilo, eccolo, tienilo cosí – adesso tiene
uniti la terra e il cielo dell’estate
non sbanda piu, vince, è in equilibrio,
vola via.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on marzo 16, 2020 at 07:18  Lascia un commento  

Sera

.
Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire, pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.
.
PIERLUIGI CAPPELLO
Published in: on giugno 2, 2019 at 07:44  Lascia un commento  

Parole povere

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on settembre 15, 2018 at 07:24  Comments (3)  

Risveglio

Ci si risveglia un giorno e le cose sembrano le stesse
mentre invece dietro a noi si è aperto un vuoto
dopo che tutto è stato fatto per trattenere la vita
in mezzo ad un panorama di pietre sparse e tegole rotte.
Allora uno mette il dentifricio sullo spazzolino
mescola lo zucchero al caffè
con l’attenzione che aveva da scolaro
quando ritagliava dalla carta
file di bambini che si tengono per mano,
piccoli pesci che baciano l’aria.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on gennaio 18, 2018 at 07:26  Comments (3)  

Restare

Gli occhi si sono fatti di sale nel voltarmi
i pensieri si sono fermati nei gesti, nel silenzio delle cose fatte;
ho raccolto le briciole del dopopranzo
e le ho scosse nell’aria vitrea del giardino
dove è appena spiovuto e irrompe il sole.
Qui, anche il piú lieve soprassalto del merlo oltre la siepe
sta fermo e stanno ferme le mie parole come navi in bottiglia.
La vostra lingua è la mia, ma la mia non è la vostra
mi sono sentito pensare mentre in casa lampeggia in penombra
il televisore e una musica epica diffonde l’eleganza di una berlina.
Tengo per me cos’è curare il fuoco
l’odore spesso di legna bagnata, lo stoppino fra le dita
lo stare di tutti i giorni nelle cose da fare, dentro un’altra luce
rotta dalle nuvole, un diverso tramontare allacciato agli alberi alti
pieno negli occhi delle case, sulle bestie dei poveri;
un po’ qua un po’ là
si sta soli cosí, oggi, un giorno cosí, un giorno piú soli.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on Maggio 16, 2017 at 07:46  Comments (5)  

Piove

Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell’ora
indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero
di matita
da me a te né dopo né dove, amore,
nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.

PIERLUIGI CAPPELLO

Published in: on gennaio 5, 2016 at 07:03  Lascia un commento