Vi chiamo tutti vi stringo le mani bacio la terra sotto i tuoi piedi e dico: offro la mia vita per la vostra vi do la luce dei miei occhi come regalo e il calore del mio cuore. la tragedia che vivo è che il mio destino è lo stesso tuo destino. Vi chiamo tutti vi stringo le mani non sono stato umiliato nel mio paese e nemmeno mi sono ritratto dalla paura rimango in piedi davanti ai miei oppressori orfano, nudo, scalzo ho portato il mio sangue sulle mani e non ho abbassato le bandiere ho preservato l’erba verde sulle tombe dei miei antenati Vi chiamo tutti vi stringo le mani.
Oggi è sabato, terzo giorno dall’inizio della strage io sono vivo e voglio scrivere di un popolo che sfida la morte in una Giordania che rifiuta di essere sgozzata in silenzio. Oggi è lunedì, quinto giorno dall’inizio della strage e la iena Habes figlio di iene mangiatrici di cadaveri, impone al nostro popolo una guerra civile nello stesso momento in cui lupi affamati azzannano le nostre viscere cosi noi moriamo migliaia di volte al giorno e migliaia di volte al giorno rinasciamo. Oggi è venerdì, nono giorno dall’inizio della strage ma Amman non è caduta come avevano predetto, – in poche ore, essa è salda e forte nella difesa e sfida il nemico con colpi di pietra e cuore di ferro
sebbene stia immersa nel suo sangue fino al ginocchio. Amman è ancora Amman; se ne sta in piedi con il mitra in braccio e nei suoi occhi c’è fuoco e fumo. I morti sono tanti; quanti assassinati? diecimila? duemila omicidi al giorno? Chi lo sa quanti sono! sopra le macerie sulle soglie delle case sui pali della luce sui rami degli alberi bruciati sulle piazze e sulle strade nei veicoli incendiati dai carri armati. Gli ufficiali del palazzo hanno detto: il popolo intero è condannato a morte! Questo hanno detto gli ufficiali del palazzo. Le cose vengono fatte in fretta: ufficiali perquisiscono le case, in fretta e coi calci dei fucili pestano le mani di chi non è armato, mani di donne e di bambini, in fretta, perché non riescano a chiudersi attorno a un sasso da lanciare. Le cose vengono fatte in fretta: il Je con un colpo di coltello, in fretta, taglia le vene del popolo e rifiuta di dargli acqua da bere pane da mangiare, qualche ora per seppellire i morti (cento e cento in ogni tomba) e qualche ora per raccogliere i feriti. I cadaveri sparsi non sono stati tutti raccolti né contati. Le macerie non sono state sgombrate, chi può dirlo quanti? E tutto questo per far cadere Amman. Ma Amman non cade Amman è ancora in piedi tutta vestita di sangue coi suoi fucili i suoi pugnali le sue unghie la carne dei suoi cadaveri le sue pietre i suoi bastoni pronta a ricominciare la battaglia. Il primo giorno il mio occhio si fa di pietra neanche una lagrima! Il secondo giorno piango, ma le lagrime scorrono dentro di me come un ruscello furioso, senza trovare uscita. Il terzo giorno il cuore mi diventa un tizzone rosso di rabbia e di indignazione. Il quarto giorno il quindo, il sesto, il settimo, l’ottavo giorno le mie labbra si aprono e parlano da sole gioiosamente dicono: questo popolo ha sette anime ogni volta che muore rinasce più giovane e più bello.