PENSIERI DEL MIO NATALE

In un mondo al rovescio dove noi, persone normali, cerchiamo di sopravvivere e di respirare un’aria a dir poco insalubre, in questo mondo dove la normalità ci attanaglia nelle tragedie, dove la mistificazione ci trascina in riserve di sentimenti che mai avremmo voluto attraversare, oggi, noi, in questo mondo ci stiamo riconoscendo e non tanto per convinzione quanto per abitudine e assuefazione, e la qualcosa è ancora più grave. E non ce ne vergogniamo, preferiamo il silenzio, abbandonando il nostro io che protesta, che ha conati da indigestione, e non da cibo, ma da fatti veri e tragici che stanno accompagnando le ore e i minuti di questo nuovo millennio che pare, ormai, si sia affacciato in un proscenio fatto di miseria umana, di misfatti, di ingiustizie, molto diverse e più pericolose di quelle avvenute nel secolo passato. Ma la pubblicità, miserabile e mercantile, ci dice  che un altro Natale, felice, sta arrivando, che bisogna consumare, che bisogna ingozzarsi, che bisogna regalare, che occorre distinguersi, in un profumo, in un panettone, in un cenone (!), in un viaggio esotico, per dimenticare!…. Ecco la verità!, per dimenticare…..i travagli d’ogni giorno, le ansie, le speranze, i dolori latenti mai confessati, le ingiustizie subite e, alla fine, anche i travagli, perchè no?, di chi ci governa. Scegliamo allora le spiagge della miseria, dove la vita degli indigeni non conta nulla, perchè ad essi ha pensato il loro Dio e la Natura; scegliamo, perchè ci crediamo, quei paesi di gente sconosciuta, convinti che i nostri soldi arrechino loro pane e companatico, quando è dimostrato che è assolutamente falso, ovvero il contrario. Però sta arrivando un altro Natale e chi sa quanti ancora ne arriveranno in questo mondo dove milioni di bambini non ne conoscono l’essenza, figurati la presenza!, il significato, in questo mondo dove giorno dopo giorno si consumano pasti di miseria, conditi da spari di fucili e collane di bombe che spaccano e bruciano interi villaggi di capanne costruite con canne e fango. Altro che Natale!, altro che cenone di capo d’anno in questo mondo di cui siamo parte, con milioni di auguri inutili, superflui e falsi!   Quasi quasi mi tiro fuori dalla Terra anche se vorrei gravitarvi attorno, senza corpo, solo con l’anima, per vedere se qualcuno ha il coraggio, la voglia, la sensazione e la convinzione di asserire che questo mondo, noi, si sia rovesciato e nessuno se ne sia accorto. E allora “ode all’indifferenza”…

Gavino Puggioni

NON RUBARE LA SPERANZA

Ma come si fa a rubare la Speranza? Oggi si può rubare tutto, la fiducia, l’intimità, lo sguardo, la libertà, l’innocenza, l’identità. Si può rubare l’anima, il corpo che ne è custode, il cuore che batte inutilmente per qualcuno o qualcosa. Si può rubare anche l’altrui pensiero, miscelando frasi e parole, l’idea e le sue conseguenze, la verità e le bugie, quelle grandi, soprattutto. Si sta rubando la pace, dovrebbero rubare le guerre! Ovviamente quel ladro s’impadronirà dell’altrui denaro, di una borsetta strappata alla nonna, di qualche lira-euro sbucata dal generoso banco-mat, ruberà una macchina, una moto, un caterpillar se non un carrarmato, ruberà un fucile e dieci pecore senza latte.  Ma come si fa a rubare la Speranza? Ma come si fa ad intascare, furtivi, pezzetti di futuro, rivoli di crescita morale, di civiltà, di amore e rispetto per il prossimo, di tutti quei bambini abbandonati che calpestano  la nostra terra, tutta, da nord a sud, da est a ovest, che urlano la loro presenza? Come si fa a dir loro della Speranza se questa è sinonimo di Vita che in loro stessi si deve ricreare perché non sia offuscata e sopraffatta? Ma come si fa a rubare la Speranza a milioni di umani che non ne sono a conoscenza?  Chiediamolo allora ai così detti Grandi della Terra che ci governano e, forse, la risposta l’abbiamo già letta e la leggeremo ancora, per chissa quanto tempo, nelle cronache di queste guerre infinite che attanagliano la nostra umanità, da sempre. E siamo, come dice la storia, in tempo di pace, quindi si potrà rubare di tutto, compreso quella stessa Speranza i cui frutti non serviranno e non meriteranno d’esser consumati.

Gavino Puggioni