L’onda dell’Atlantico lambisce
fino a perdita d’occhio la costiera,
il bianco della schiuma si intromette
tra palmeti che affollano la sabbia
gioca a sollevare qualche tronco
caduto, e ceppi morti
nuotano, scolpite due ragazze
coi seni nudi
coltivano nei passi l’eleganza
e bambini mostrano il sorriso
di denti bianchi
sullo sfondo nero
e gli occhi dolci
danno un canto al cuore.
Le lavandaie stanche di lavoro
su gusci di barche
fanno ritorno
a villaggio di case
coi tetti di paglia come nidi,
liete di stare insieme
si stringono,
in placido tripudio
si fondono
tramonto, verde, incanto.
Al centro dello spiazzo la magione
dell’anziano capo
sfoggia eleganza
in disegni scolpiti sulla soglia…
Ora si accende l’aria di colori,
suona tam tam di rulli e di tamburi
si ravviva il villaggio,
si illumina di danza
canto
giochi…
corpi sereni docili
al pennello degli occhi
danno l’acquarello dell’artista…
Africa
forza selvaggia,
fuoco di raggi accende
arsura, siccità…
pioggia che scroscia
inonda la savana
zebre giraffe antilopi elefanti,
saltano le gazzelle
sotto le grinfie acute di felini,
nelle radure corrono gli struzzi…
cascano l’acque
di imponenti rivi
estasi di fragore…
ma qualche automobile s’affaccia
sporca di fumo
la melodia selvaggia
e ludibrio si spande
a macchia d’olio
di ferro, di cemento
rompe l’incanto
il verso non selvaggio,
prepotente
della globalizzazione.
…Ozio d’Africa
Inane e pigro
crogiolo al sole
su sabbia rovente
d’Africa bruciata
Ho braccia a croce
occhi al pensiero
lascio che sia il mare
a cancellarmi il volto
Indolente
anche al dolore
Che sia lui
a sopportarmi

Litania


Mal d’Africa


L’Africa
Tutto si smaltisce
con l’euforica corsa
al progresso.
Mani e menti
elaboratori di denaro
e potere
… … …
forse è solo un bisogno
di sopravvivenza
l’atto di svendita
di piccole essenze
private d’infanzia?
Tutto si smaltisce
con una corsa
alla comprensione
… (finta)…
del mondo occidentale
che scolpisce solide colonne
di educazione illusoria
smembrando famiglie
consumate dai morsi
della vera fame
… … …
un fiume in piena
che non scorre,
un pezzo di pane
mai cotto e profumato,
un assillo di parole
che non hanno né suono
né significato
se si da un senso lontano
alle ingiustizie
che ogni giorno
decolora un paese
mostrato e disegnato
da finte favole
di beneficenza.
E seduta
davanti ai poteri
di alte cariche
determinanti e ricche
(basterebbe un anello religioso
a sfamare piccoli desideri
di naturale sopravvivenza)
un brivido di movimento tellurico
solo alla vista dei tanti
“uomini e donne”
bianchi e grassi
di protagonismo ignorante
… … …
L’Africa muore ingoiata
in un morso d’alito
di confusionale indifferenza.

Padre
Conoscevo un uomo:
naso lungo intenditore di anime,
occhi umidi di cervo e severe parole;
come scoppio di temporale
nella mia alba azzurra
le sua urla fugaci e le risate piene,
poi caldo sole da guardare di lontano.
Marinaio spavaldo cavalcò il deserto,
l’Africa conquistò e l’Africa riperse;
cento sguardi di donna a seguirlo
come magnete di bussola:
a molte la rotta concesse
ma da una sola fu catturato.
Re della casa e re della foresta
una saggia regina lo vegliava,
Dorothea, dono di Dio, a lui donata
come è Donata la mia paziente sposa.
Gli anni leggeri scesero piano
ad imbiancargli la fronte china;
sciolta la neve in lacrime
nell’ultima fatica d’amore
restituì quel dono alla regina muta.
Se ascolto bene nel mio stanco viaggio
oggi di tanto in tanto posso sentire
tra il salso odor dell’Adriatico
quella voce ancor sonora e gaia
che il vento porta a consolarmi il cuore.
Massimo Reggiani
per cento anni e per sempre (22/4/1911 – 24/4/1991)

Amelia aviatrice…
spericolati voli di futuro
guizzi di sfide nel triangolo delle Bermude
audacemente con te migrano sulla volta celeste
profumi di salsedine
mentre rimiri l’astro che
lento si tuffa nel mare con te
una piccola pietra lunare
in rotta di tigre
scavalca i cerchi delle notti
hai grani di stanchezza che arrossano gli occhi
attraverso i volti del globo
atterri, sulle valli dell’India e nei polmoni dell’Africa
fiori d’ibisco sulle tue gesta
ventosi i tropici soffiano furiosi
trasvolano con te
ti perdi e cali
con le tue eliche
scompari
in oceano pacifico…
Dedicata ad Amelia Earhart, pioniera dell’aviazione internazionale. Un ricordo di donna straordinaria che nel 1937 fece la traversata del mondo in solitaria con il suo velivolo e che, quasi alla fine della sua impresa, perse il contatto radio e scomparve nell’oceano

Ode all’Ersilia

Villici del contado udite udite, e in grande vena gozzovigliate allegri qui stasera! Ne scorreranno fiumi di acqua vera e fiori imbandiranno il desco antico, e approvvigionamenti in quantità! Siam qui per festeggiare una Pulzella che giunta al bel traguardo dei Settanta ci volle avere tutti quanti assieme: in alto Lei fa viaggi entusiasmanti, i sogni non le mancano, la dritta! Squasimodèi Lei fa insistentemente, soffre di voglia d’Africa e dintorni, sogna tornare a Cuba e forse in Cile, ed anche un po’ in Australia o giù di lì! Lei l’India non disdegna od il Giappone, l’Irlanda e anche la Scozia tutte insieme, di Magellan lo stretto passerebbe da un guru in Pakistan si sederebbe. Gli Stati Uniti ha già ben visitato e chièsele là il desso una volta: “Vuoi esser la mia sposa americana?” Ma Lei mi rifiutò ed è d’allor che il maschio suo fetente che son io, non sa più accontentarla poffarbacco! Potrei pure indossare un colbacco, od anche un cappellaccio da cow boy, e andarmene ignudo in via Rizzoli in bicicletta in pieno mezzogiorno, poi scendere al C’entro della Camst dove ingoiar gli gnocchi ai tre formaggi fatti da chef che sguàzzan nei paraggi! Ma ormai ciò non risulta sufficiente, ormai non la si tiene proprio più, neppure a starle insieme a tu per tu: diceva sempre sì, ma ora no! E allora? Sto poetastro fratto e assai distratto si è rifugiato nella poesia! E Lei va nell’armadio dei misteri dove ci scova sempre strane cose da farsi mutandini con le rose, foulard e camicette sinforose, golfini uniti ad altri bei fru fru! Poi quando con le bimbe amiche sue si trovano ci ci per chiacchierare di cotte e pur di crude in quantità maligne se le contano sfrenate! Siam qui con zia Velleda tutta in ghingheri, poi Giorgio, Sara e Bruna ch’è la cocca, ed il nipote Vanes robustone! Da viale Roma c’è Riccardo e Luisa, e poi Menghini Umberto con Valeria; giù da Pianoro Mauro con la Meri, e dalla Cirenaica è giunto Fabio con mami e papi Sara e il bel Gaetano! Col piccolo Del Grande e la sua Emilia, a chiudere sto gruppo ci son io Sandro presente sempre al Suo comando! Che c’è da dire adesso non lo so, a Ersilia intensa vita e folle amore, ti batta forte il cuore e le tue dita amiche sian di anelli brillantati! Ti pendano dai lobuli orecchini e l’onda delle meche sia sempre viva, al collo tuo scintillino collane e un po’ di ombretto e fard ti dian colore, sian belle per la vita le tue ore: questo per Te desidero augurare! Poi prendo su il bicchiere là per là ed urlo ip ip ip, urrà ed urrà!

Genova per noi
Con quella faccia un po’ così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi prima di andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c’inghiotte e non torniamo più.
Eppur parenti siamo un po’
di quella gente che c’è lì
che in fondo in fondo è come noi, selvatica,
ma che paura ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte e non sta fermo mai.
Genova per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
Genova, dicevo, è un’idea come un’altra.
Ah, la la la la la la
Ma quella faccia un po’ così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
ed ogni volta l’annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po’ randagi ci sentiamo noi.
Macaia, scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia…
e intanto, nell’ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali.
In un’immobile campagna
con la pioggia che ci bagna
e i gamberoni rossi sono un sogno
e il sole è un lampo giallo al parabrise…
Con quella faccia un po’ così
quell’espressione un po’ così
che abbiamo noi che abbiamo visto Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c’inghiotte e non torniamo più.
PAOLO CONTE
