
Ticchettio di ore


Vascello nella tempesta
Ho fatto di tutto per non affondare
imbarcando acqua di mare in tempesta,
spinto verso le aperte tombe di scogliere
grigie come sinistri manieri.
Pezzi di me ora galleggiano tra scogli
eretti come lapidi senza nomi e date.
Raccontano frammenti di storia e vita,
nel costante borbottio ripetono a cantilena
le stesse parole fino a quando improvvisa
un onda nuova quel frammento porterà
a largo e svanirà corroso.
Vascello sicuro e fiero di vele spiegate,
in ogni mare sospinto dai mutevoli venti
del destino ho navigato seguendo le stelle.
Ho solcato il mare dell’indifferenza umana
raccogliendo anime naufraghe lasciate
alla mercè dei vortici che la vita crea
In oceani del male ho fatto scalo in isole
di pace per prendere poi nuove rotte.
Nel mare del dolore che ogni nave solca
Ho chiuso i boccaporti del cuore perché
le immense onde sopra di me passassero
ricucite le vele strappate la rotta ho ripreso.
Solo al mare dell’amore mi sono arreso,
ho lasciato che questo vascello alla deriva
andasse, che i suoi venti le consumate vele
dell’anima tormentata stracciassero.
In quel mare dove gli altri mari si mischiano
e tutt’uno diventano, ho subito i flagellanti
flutti del male, del bene, dell’indifferenza
e della passione che più del sole acceca,
rendendo schiavi senza memoria e orgoglio
chi del dio amore agli acuminati scogli
nel naufragio mortale del cuore si consegna.

Non di sole parole
Forse dovrei smettere
scrivere è quasi impudicizia
sulla terra che scuote di povericristi
case e cose
sopravvissuta a intemperanze
geofisiche letali
redigo gli atti
di permanenza usucapione
in questo corpo che mi sopravvive
come se cibo e acqua e il bene perso
risiedessero in questo mio sentire
Se fosse importante!
È invece una distanza senza metrica
distrazione da verso fatuo
l’essermi posta al margine del mondo
in una sacca d’ordine apparente.

Flower is not a Flower
se il boccio non può fiorire
ma chi lo può dire?
Né tu, né io
solo l’oblio.
Neppure la saggezza degli amici
perché ogni gemma ha la sua linfa
che dove inizia e dove corre non sa.
Non confido nel cielo
perchè in un attimo può gelare le gemme
con una brinata di aprile.
Allora ogni tanto spero
e non spero
tendo con l’animo verso quel bene futuro
pesca settembrina
o rosa canina.

Contatto
Accarezzo con mano leggera, quasi a sfiorare,
il tuo corpo disteso al mio fianco,
con occhi chiusi lasci scorrere il tempo, vorrei fermarlo,
troppi sono gli anni che le mie mani ti sfiorano.
Il tempo a me segnato si accorcia inesorabilmente.
Mi restano i ricordi di notti meravigliose trascorse
a sognare un futuro migliore, viaggi lontani,
tramonti in riva al mare, scalate e rifugi tra i nostri monti.
Ora ricordo il passato,
quel passato diviso in due nel bene e nel male,
sempre solo noi.
Non voglio staccare questa mia mano dal tuo corpo assonnato,
non voglio spegnere questo incanto,
creato da un contatto innocente come una carezza.
Inconsapevole tu dormi, un respiro profondo scuote le tue membra
Quasi fosse una risposta ai miei pensieri.
Un grazie dato attraverso il contatto di due corpi inseparabili da sempre.

Inevitabile incastro
Non sento redenzione in altra forma
che d’arte non sia quella di danza,
amatoria, fino a schiena e reni in arco
a trovare braccia come virile appiglio.
Impulsiva una scossa dietro l’altra
viscerali fino al punto d’impazzire.
Ogni tanto recupero il mio corpo
tra una resa, una seconda ed ancora…
non c’è verso d’affrancarlo, è tuo
e tu non frani che tra i capelli miei.
Oltre la vita scesi, lunghi sui lombi,
scarmigliati dal ritmo incalzante.
Contatti ed adesioni combacianti, poi,
del mosaico l’inevitabile incastro,
la perfezione fatta donna / uomo, noi.
Avverto le tue mani possessive
andarmi sopra, gelose come di me
e d’impeto riscattare la spossante
aspettativa della rinuncia mia a lottare…
E’ apogeo!
Del piacere riscuoti il vertice,
apice smaniante di quel bene attirato,
quanto sognato, che ora s’incarna
e diviene amplesso… mentre m’arrendo
docile per a te capitolare paga.

Sempre
Ho scritto dell’alba,
del tramonto,
del vecchio albero,
della vecchia casa
lontana da tutti,
ma da tutti amata,
ho scritto degli affanni
mai superati,
delle illusioni, dei sogni
mai realizzati.
Ho scritto del mare,
delle sue immensità,
dei suoi silenzi.
Ho scritto del male,
dei soprusi, delle violenze
antiche e moderne.
Ho scritto di libertà,
di inciviltà,
di abbandoni e di solitudini.
Non ho scritto di te,
sempre presente,
nel male e nel bene,
ma mi sei testimone
ed è come tu abbia scritto con me.

Una cattedrale nel mio cuore


Né miele né ape
Non mi pare di sfiorare il cielo.
Non so che stabilire:
due in me sono i pensieri.
… coloro che ricevono
il mio bene, sono quelli che
più di tutti mi danneggiano.
Io ne sono consapevole.
Ma non sono una che porta risentimento,
poiché possiedo un attimo tranquillo…
Nel mio dolore che stilla
goccia a goccia.
Chi mi rimprovera i venti e gli affanni
possano trascinarselo.
Per me né miele né ape.
SAFFO

Stanco
Son tornate le rondini
e volteggiano gaie nel cielo sereno.
Il mio cuore vola con loro,
il mio pensiero è lassù
in un mondo migliore di questo.
Quel garrire fraterno, felice,
ed è lì che vago, sperduto e contento,
in una felicità senza limiti e confini.
Son tornate ancora una volta
all’appuntamento col tempo,
mandate da Dio,
incuranti del bene e del male,
e fendono l’aria
in circoli piccoli e grandi,
s’inseguono librandosi leggere nel vuoto.
Sono lassù con loro,
nell’immensità.
Ma no
sono qui
su questa terra
nella mia stanza
sulla mia sedia
con la mia penna
il mio dolore
ed il mio pianto profondo
per chi amo.
