ma sto precipitando aggrappato ai tuoi pensieri che non conosco lapilli che bruciano carne lame che tagliano le mie mani in cerca di un tesoro incustodito eppure mai violato
Vedo tue parole inseguirsi le une attaccate alle altre Scivolano posso solo immaginare su pagine di acqua gelida e scura dove io non riesco a nuotare
Provo ma non so fermare quest’idea che m’assale e violenta il mio corpo indifeso come campo di grano seminato ingiallito bruciato e poi spaccato dal suo amico aratro, compiaciuto
Vorrei esistere anche e solo in un filo dei tuoi pensieri senza rubarti tempo senza rubarti niente come il nostro ieri quando mi hai donato altra vita dove l’anima tua non mentiva
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l’immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli…
Conosco invece l’epoca dei fatti, qual’ era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
sembrava il treno anch’ esso un mito di progresso
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti…
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite..
Ma un’ altra grande forza spiegava allora le sue ali,
parole che dicevano “gli uomini son tutti uguali”
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria e illuminava l’ aria
la fiaccola dell’ anarchia,
la fiaccola dell’ anarchia,
la fiaccola dell’ anarchia…
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
un treno di lusso, lontana destinazione:
vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
pensava al magro giorno della sua gente attorno,
pensava un treno pieno di signori,
pensava un treno pieno di signori,
pensava un treno pieno di signori…
Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione,
forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:
dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore…
E sul binario stava la locomotiva,
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d’ acciaio,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno…
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
e prima di pensare a quel che stava a fare,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura…
Correva l’ altro treno ignaro e quasi senza fretta,
nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
“notizia di emergenza, agite con urgenza,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno…”
Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria:
“Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!”
E intanto corre corre corre sempre più forte
e corre corre corre corre verso la morte
e niente ormai può trattenere l’ immensa forza distruttrice,
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
della grande consolatrice,
della grande consolatrice,
della grande consolatrice…
La storia ci racconta come finì la corsa
la macchina deviata lungo una linea morta…
con l’ ultimo suo grido d’ animale la macchina eruttò lapilli e lava,
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo:
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava…
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
mentre fa correr via la macchina a vapore
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva, come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
lanciata a bomba contro l’ ingiustizia!
Perlage di mimose rotolano nel mistero grani ocra ardono solivago ai rami misteriosi si perdono come lapilli nell’amore tingono l’impossibile e soffi di polvere impregnano ricordi
Chissà
se i pioppi hanno sentore
dei pensieri degli uomini
future storie che saranno scritte
oppure fionde
guardatele le spalle
lei che non sa trovare più parole
persa nei mille e più sinonimi
del suo vagabondare.
Un imbarco mai chiese
se ne dovrebbe ricordare ora che fugge
dai porti e dalle cale
lasciando i suoi frammenti tra gli scogli.
C’era nell’aria tinta d’ossidiana
un ulteriore indizio
sicché ne prese nota.
Era squillare di lapilli
brulicare di sfere di cristallo
e mare e mare
l’orecchio a consentire le apparenze
– signora non s’ignora a farsi farsa
nel concederle asilo -.
La sua deserta voce
ha vibrato su coste occidentali
nell’embargo del nulla a barattare
In fondo chi può dire
d’appartenersi veramente tutto?
Non il pensiero che camuffa e inganna
un battito scandito
uno soltanto
e ne saprebbe il nome.