
Mi chiedi, differente dagli altri, come sto.
Qual è il responso dello scrivano,
occhiali blu.
Perché fui come un morto pulcino
e ancora tu, senti la pancia dura
di pietra, giù in corsia.
Ed i settanta e passa son niente, madre mia:
è l’albero dei frutti d’inverno il figlio tuo
un porta a porta mille giornali
un paletot, che presa l’aria è ancora bel nuovo.
Sono qua, che asciugo le posate sul piano
sono qua, la mela in tasca e andare
dopo la ferrovia. E guardo al tempo e al chiaro
che nevichi più in là;
che il treno metta tutte le ossa in fanteria
che impari a stare al mondo anche lui
ci scaldi un po’. E asciughi i vetri
a tregua di campi
abbia pietà, di scarpe e calze acquisto da poco.
Si, anche lui, si faccia come piuma nel viaggio
perché lei, ha un buco nella bocca per aria
ed ora è qua, sulla mia spalla terra straniera.
È qua e va via, addolorata dorme nel ventre
e nel suo dio. Ed è caduto il sangue, l’anello
il petto suo.
Come un compagno morto in trincea
senz’acqua poi
per benedirlo almeno per finta.
Madre, sì
Massimo Botturi