Questo terremoto ha fermato tutto e tutti. Ha fermato il pensiero, il nostro, là, dove vite umane han perso la propria via in un tracciato improvviso, non previsto, dicono, nè da scienza nè da conoscenza.
Molti han visto la luce del sole con le tenebre negli occhi, nel dolore, nell’amore di chi non è più, nella rassegnazione ad un evento ahimè!, che non perdona.
E se il mio scrivere fosse estiva pigrizia da nascondere al sole? Mai ho voluto parlare di rivalse poiché uccise dal centro periferico d’esibizionistica prosa inesistente al cospetto d’impronte mobili su inchiostro d’avventurosa superbia.
Non transigo nelle rime inesatte del mio vivere la perfezione delle arrendevolezze mai scoperte (o sciolte) come ghiacci imponenti sui poli; non sarei in grado di stratificarmi in scienza disordinata accampata nell’intonazione d’un caos curativo delle mie ferite seminate, ormai, dalla longevità malsana della sua stessa bellezza.
La densità gassosa delle maledizioni interiori lasciano all’aria senza tempo il fulcro esistenziale d’un vivere senza mèta poiché amiamo le magiche incoscienze che non osano, con naturalezza, filtrare persuasioni associate all’arrivo d’armi nell’immobilità inerme del loro stesso sapore.
Non trovo il punto interrogativo / come faccio / a togliermi d’impaccio / è tremenda questa / tastiera di computer / e adesso tutto il mondo è in mano a loro!
Senza scrupolo alcuno / uccidono Natura
i loro interessi di crescente oro.
Fittizio bluff: mai un’epoca intrigante come questa,
coi microchips, surrogano la scienza / nascosta col tempo senza tempo / ci fanno credere ciò che voglion loro.
Meno di nulla / quello che accompagna / la vita dell’indomito castoro.
Dal nulla senza nulla siam venuti e, ricordando niente,
ci si appresta, senza equivoco alcuno, alla Gran Festa.
Finale d’altri tempi di altri luoghi, anticipo di sogni
mai vissuti, strani ricordi che non passan mai,
né intelligenza rendon manifesti.
Ma manifesti a chi, se non son nati, passanti
d’ogni volta e d’altri lidi, passanti che, continuamente infidi,
ricordano la vita ad altri cuori.
E giunge – giorno dopo giorno – l’esperienza del sempre,
sempre in cadenza simile, indelebile, che scivola nel vento
ad ogni vita.
Grama nei più. Per tutti l’esperienza in quel tratto di penna
di . . . chi non vuol morire. Paradossale:
perché non siamo nati mai, e mai morremo, eterni,
in ogni forma di tempo. Non certi di certezza, né di vaghe blandizie, ci avviciniamo in relativo lento, decadimento umano come lieve carezza.
Lesta, e vicina, Festa Grande è la nostra, terminale,
vibra lasciando fuori dell’Essere, di tutti noi,
la cenere.
Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni, col tempo…
O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita costretta come dita dei piedi…
Queste cose le sai perchè siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perchè siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d’ azione o di parola,
volando come vola il tacchino…
Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d’ orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c’è una vita sola, non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno…
Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell’ energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza o il peccato…
Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
perchè siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri… coglioni!
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro non vale…
D’ altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d’ aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare… grattarsi!
Noi che crediamo di possedere il mondo, dall’alto della nostra scienza per cui ci sentiamo padroni ricordiamoci che tutto il nostro rumore tornerà a essere aria e tutta la nostra tecnica polvere e non basta la facoltà di parlare per giustificarci nel doverlo fare; perciò torniamo a essere uomini perché intorno io non vedo altro che bestie e vuoto d’amore.
interroga la geometria celeste dove il sole condannato dalla legge lotta per la riforma dell’ellisse, vuole allontanarsi dall’orbita inquinata del pianeta. Il progetto che pubblica risorse ha perso il controllo sulla piattaforma dove si fondono scienza e l’incoscienza seminando la plaga di rovine. Il tragitto che apre uno spiraglio da cui trapela luce di domani è monito severo a questa civiltà tarata dagli abusi che predica la pace e insozza l’uso, gridano le ragioni nucleari con la voce venefica potente che aspettano un errore per sognare… ed il velo rognoso sotto il cielo ha preso piede. L’abbozzo di fede di speranza e carità sono sterili voci soffocate dall’orgoglio e da brame arrampicati all’albero di mele per la mela più grossa della cima.
Le ore zoppicanti posate sopra un tavolo randagio forano gli occhi alle pareti, guardano il computer che profonde luce moderna saltando a balzi sul tempo, non più come un miracolo, come un’abitudine, ormai la scienza ha preso il sopravvento sulla fantasia, gli incubi stanno invece dei sogni, allatta l’internet frotte fumanti nei vivai, lo schermo imbarca sensazioni alla rinfusa nelle stive vuote dei bambini.
Attraverserò la notte così
A piedi scalzi a pugni chiusi
Col sonno corto
Di chi ha troppi pensieri
E non basta mai schiarirsi le idee
Sapendo per certo che ridere fa bene
Che la scienza ci farà vivere fino a 120 anni
Per fare cosa non è dato sapere.
La notte ha le sue facce
Di vino andato giù veloce
Di auto potenti
In mani troppo giovani
E a volte sa di pane oltre d’asfalto
Ma ci arrivi dentro sempre col fiato corto
Di chi sa che nulla potrà più fare
Di quel giorno che è passato lento
E quello che arriva
Ad essere fortunati ha un buon presentimento.