§[(Sottoposta a sequestro in espressione algebrica,
numero in celle di svolgimenti obbligati,
incontro / scontro segni aritmetici
sottraenti, divisori, mai sommanti
o moltiplicatori i risultati miei.
Stanca inciampo, prendo sviste,
cado in fallo ed altero i passaggi,
i computi, dunque l’esito finale sacrosanto
per l’evasione da tonde, quadre, parentesi graffe)]§ =
Matematica…virtuale…ma non troppo

Ofelia
(davanti all’Ofelia del preraffaellita Millais)
Va verso il mare e m’incanto a guardare, l’acqua la culla e lei sembra dormire. Fronde s’inchinan, col loro stormire par che un saluto le vogliano dare. . Lieve la veste disvela le forme, con le sue labbra ricama un sorriso, nella sua mente rimangono incise false promesse e dolenti quell’orme. . Alma che volle sol segni d’amore, perse ragion con le grandi illusioni, marcio sfuggì con le oscure emozioni. . Or che nel mar troverà liete l’ore e svaniran le frementi passioni, potrà cantar le più dolci canzoni.
Ti ricordi di quando
ascoltavamo le canzoni
e credevamo nei segni?
di quando ogni stupida
coincidenza
era destino?
Respiravamo
senza rendercene conto
e sulla neve
eravamo angeli
Ti ricordi di quando
avevamo freddo
e non ci importava?
Di quando ridevamo
vedendoci ridere?
Le giornate iniziavano
d’autunno e finivano
d’estate
Sai dirmi quando
le coincidenze
hanno smesso
di essere destino?

Come, quando, dove?
Tentare di decifrare il futuro,
con quale alchimia
interpretare gli indizi del destino,
leggere i segni della notte
carpire i segreti di Madre Natura?
Sospeso
il pensiero viaggia nel tempo
a ritroso e avanti
alla ricerca dell’assoluto
di ciò che è sicuramente vero
dei significati reconditi della vita
e del senso dell’esistenza.
Fra poco sarò pronto
non manca poi molto
credo,
fra poco finalmente saprò
il come
il quando
e soprattutto il dove andrò.
…E l’emozione si mescola alla paura.

Abbandono

Danila Oppio

La gioia di scrivere
Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi ad un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola “bosco”.
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.
In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.
Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.
C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?
La gioia di scrivere
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.
WISŁAWA SZYMBORSKA

Da dove vieni
Forse ci amammo per quel comune odore
che ammutolisce il mondo visibile nell’erba;
dopo piovuto come un incanto
dopo il nudo, che viene nello specchio dell’acqua
quando è vento.
Forse il modo
con cui cantavo il seno tuo pudico
e inviolato:
uno scrosciare furbo d’uccelli spaventati
un vuoto cattedrale
che riempie il cielo quando fa giorno.
Forse i segni, hai amato su di me
delle pagine trascorse,
quel mio tenerti come una coppa d’orli mozzi
senza sprecarti mai una sorpresa
un bisestile
un’ora fatta a noci col miele.
Forse il suono
dei campanili stessi premuto nella testa;
quando amavamo stare nei campi
e non a casa. Quando le foglie del granturco
tra le mani
dicevano il futuro
e valeva qualche cosa.

I verbi
ci passano in rassegna
con pronuncia sardonica c’immettono
tra le papille gustative e le corde vocali
ci scrivono le azioni sillabate nel registro dei segni
ci mettono la pen(n)a tra le mani
a tatuarci le tacche dei mattini
o matte dei tacchini (piccole libertà d’amanuensi)
ché veramente seri sono pochi
ci prescindono
come i pifferi che invece di suonare…
ci trattengono quando ci destiamo
dagli assetti (anche affetti) supini
ci tossicchiano intorno balbuzienti
ci rendono refusi inadempienti alle minime regole
ortostatiche
non ci reggiamo in piedi
e loro ci propinano levare andare fare dire ingurgitare
e noi
– verbicitanti, occhi lucidi –
lessicodipendenti incontenibili
ci siamo arresi e ci scriviamo addosso.
il medico prescrive: un cucchiaio di silenzio
lontano dai tasti

Desideri
Mi sono caduto addosso
con tutta la rabbia dentro
scavando gallerie nel deserto
e tanta voglia di te.
Adesso che lascio impronte
delebili
vorrei essere oltre l’orizzonte
a volare distanze bianche.
Solcare mari agitati
lasciando segni
indelebili
dei miei sogni incompiuti.
Sentire salire le voci
come fantasmi dal fondo
e scimmie aggrappate alla spalla
come pappagalli eterni.
E poi stendermi al sole
per cercare le stelle
strappate
dai ricordi di una notte.
Riprendo il cammino
rotolando sulle ginocchia
fino a sfondare il muro
dell’incomprensione.
