Conca d’Oro

Dal soffitto
di stalattiti incombenti
e precise
il fiato si condensa eppure qui fa caldo
nella camera ad est
basta però non sporgersi a guardare
i rigori d’un forestiero inverno
starsene avvinghiati a sé stessi
sorretti a malapena dalle scarpe
traballa perfino il lavandino
appoggio
antiscivolo
verso
un attraversamento verticale
sublima il vomito e
quel ricadere goccia dall’alto
spartiacque dei polmoni
carica a manovella il cuore
fuori
appare tutto uguale –il viso—
ceramica pallida
se qualche verdefiore sullo sfondo
fosse d’azzuro
a inscriverlo in un tondo della Robbia
e l’immortale

Italiani d’Argentina
Ecco, ci siamo
ci sentite da lì?
in questo sfondo infinito
siamo le ombre impressioniste
eppre noi qui
guidiamo macchine italiane
e vino e sigarette abbiamo
e amori tanti.
Trasmettiamo da una casa d’Argentina
illuminata nella notte che fa
la distanza atlantica
la memoria più vicina
e nessuna fotografia ci basterà.
Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina
oramai certa come il tempo che farà
con che scarpe attraverseremo
queste domeniche mattina
e che voglie tante
che stipendi strani
che non tengono mai.
Ah, eppure è vita
ma ci sentite da lì?
in questi alberghi immensi
siamo file di denti al sole
ma ci piace, sì
ricordarvi in italiano
mentre ci dondoliamo
mentre vi trasmettiamo.
Trasmettiamo da una casa d’Argentina
con l’espressione radiofonica di chi sa
che la distanza è grande
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più
ci piacerà.
Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina
ormai certa come il tempo che farà
e abbiamo piste infinite
negli aeroporti d’Argentina
lasciami la mano che si va.
Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina.
La distanza è atlantica
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più
ci piacerà
Ahi, quantomar
Ecco, ci siamo
ci sentite da lì?
ma ci sentite da lì?
IVANO FOSSATI

Cercando lei
Ad ogni donna ho parlato d’amore,
ad ognuna ho dato di me qualcosa
che nel tempo di me parlasse
perché quell’amore non venisse
disperso.
Di volta in volta ho raccolto i pezzi
del mio cuore e li ho incollati
con solitarie lacrime.
Ogni volta ad un nuovo volto
ho sorriso e ricominciato ad amare.
Ho preso il mio cuore e tra le mani
di una lei l’ho posato.
Senza amore, senza amare non era vita.
Poco importa se la solitudine era lì
ad aspettarmi per continuar il cammino
Di ogni donna ho nel cuore il meglio,
il resto, il dolore, l’ho gettato via.
Improponibile collage di un amore perfetto,
frammenti di mille colori sullo sfondo
della malinconica memoria.
Ne’ capelli biondi o bruni cercavo.
Ne’ occhi scuri o chiari volevo.
Volevo solo amore per amore e null’altro.
Poi venne lei, mi fermai, mi parlò d’amore.
L’ascoltai come s’ascolta il vento,
la guardai come si guardano le nuvole
e i loro giochi mutevoli…
con il silenzio della voce ma con un grido
nel cuore:
eccoti finalmente amore che cercavo!

Crepuscolo
Contorni lievi sfumati
di monti imbrattati di neve
adorni di vena rosata.
Tutto assorbe silenzio,
magia
colori si prendono
si abbracciano
si fondono
come disperati amanti
esplodono di passione.
Groviglio estatico
di porpora e oro.
Neri gli alberi sullo sfondo
umili spettatori di quell’incanto.
Il buio, ignaro,
inghiotte ricopre.
Le case si accendono
fiaccole miscredenti
di un miracolo avvenuto.
astrofelia franca donà

Sospeso nella bruma
che partorisce dagli asfalti freddi,
prendo a passi lenti il panorama,
l’alba sorprende
passeggeri spediti senza tempo
giornali accartocciati nelle mani,
qualche balcone sveglio,
l’abbaio che dilaga nei carruggi,
allineate lune
su frappe delle tane
di buon mattino a giro di lavoro,
sbadiglia il mercatino,
una traversa guarda l’altra strada
macchinando il trasloco a primo intoppo
come un discorso chiuso dietro grate…
S’alza su greto in rapidi risvolti
il sole e inventa ninfee nello stagno,
attraversa il deserto sullo sfondo
dell’ape producente
con facoltà di pungere,
malvisto fuco innocuo
senza diritto a vivere,
come indirizzo a spettatori attenti
sulle strade.

Il monello nella foto
Immerso nel gorgo,
dell’apnea del tempo,
ritrovo pugni finti, sorridenti
occhi e denti scordati
in bianco e nero
con tanto di sfondo
di fili stesi
ingobbiti da zuppe canotte,
sogni appesi a nubi,
aggrappate,
sciorinate al levante da dita,
da gesti ormai persi.
–
Gran pavese di un’età
sventolante d’avvenire.
–
Si annodano gli attimi ora,
ma l’ieri scorreva
così dolce nel mio domani,
che ho corso in lungo e largo
i verdi rivoli di Primavera,
senza mai inzupparmi
in questa rorida nostalgia,
che pure dirompe,
sciogliendo tutto il suo
spensierare gaio in stille
ai miei piedi.

Il faro

Rincorro la Poesia e ho il fiato in gola mi accuso e mi punisco: – Gran somaro! – quindi sebbene i miei pensier si sgolano avanzo a ricercare il fior più raro. Poi palpitante assisto alla gran fola che sviscera il docente e vedo il faro di lettere-parole che s’involano e fra il verde di sfondo un almo maro. … e un tavol sparecchiato e una bottiglia, lì goderecci e immersi in uliveto immagini rotonde voci e risi, scendendo dalle nuvole al concreto, incerti causa un’ansia che ci piglia, c’immoleremo magici e… narcisi!
