
azzurrabianca
azzurrabianca
Mi sono preso una vacanza
passando per la cruna d’un ago
e chiudendomi dietro la porta.
Ho rovistato nel cesto del bucato
per riscoprire la fragranza dei fiori
ed il canto di protesta delle donne
al fiume dei secoli di marmo.
Ho ritrovato la madia dal gusto del pane
e l’odore d’infante nel dondolo a culla.
Adesso che è rimasto qualche muro maestro
e l’erba che cresce al posto del tetto,
non so pronunciare che silenzio di lacrime
e cercare, interdetto, qualche pietra annerita
a far da conchiglia.
Ho tirato le reti a riva
senza curarmi di strappi e di buchi.
Ho cambiato l’abito per andare in città
ed ho messo una tuta blu.
Finalmente niente albe sul mare
ma prima dell’alba sul treno!
Finalmente niente tramonti
né soli spariti in nuvole rosa.
Adesso c’è la sirena a scandire
la vita e tempi obbligati a fare le cose.
La sera è già notte, il tempo di rientrare
e poi finalmente! La vita!
Ma solo il sabato sera.
Finalmente niente sole che picchia
né nebbia, né pioggia, ne mare scontroso.
Infilare le onde di prua, non impigliare le reti,
ritirarle con poco bottino, tornare a casa,
cenare con poco, un poco tv e subito a letto.
Qui tutto è previsto, nessuna sorpresa
C’è pure la mensa, il piatto del giorno:
rigatoni al sugo con clessidra.
Ci sono i compagni, ma senza parlare.
Volti segnati, pieni di mutui
col figlio in arrivo e la moglie in vacanza.
Per fortuna c’è sempre il tifoso
che parla di calcio e tutti d’intesa
ricordano agli altri d’essere maghi.
Ma la sirena interrompe
il reparto mi attende
l’ingranaggio riprende
e i pezzi son quelli.
Ho comprato un usato
per giustificare la cosa
quando torno al paese
con neanche uno sguardo
alla barca insabbiata.
Con la faccia insolente
a sfidare gli sguardi
di compaesani ignoranti
ancora impegnati
a rammendare le reti.
La prima classe costa mille lire,
la seconda cento, la terza dolore e spavento.
E puzza di sudore dal boccaporto
e odore di mare morto.
Sior Capitano mi stia a sentire,
ho belle e pronte le mille lire,
in prima classe voglio viaggiare
su questo splendido mare.
Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha comprato un cappello,
se ci invitasse al suo tavolo a cena come sarebbe bello.
E con l’orchestra che ci accompagna con questi nuovi ritmi americani,
saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le mani
e con il ghiaccio dentro al bicchiere faremo un brindisi tintinnante
a questo viaggio davvero mondiale, a questa luna gigante.
Ma chi l’ha detto che in terza classe,
che in terza classe si viaggia male,
questa cuccetta sembra un letto a due piazze,
ci si sta meglio che in ospedale.
A noi cafoni ci hanno sempre chiamato
ma qui ci trattano da signori,
che quando piove si può star dentro
ma col bel tempo veniamo fuori.
Su questo mare nero come il petrolio ad ammirare questa luna metallo
e quando suonano le sirene ci sembra quasi che canti il gallo.
Ci sembra quasi che il ghiaccio che abbiamo nel cuore piano piano
si vada a squagliare in mezzo al fumo di questo vapore di questa vacanza in alto mare.
E gira gira gira gira l’elica e gira gira che piove e nevica,
per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America.
E il marconista sulla sua torre,
le lunghe dita celesti nell’aria,
riceveva messaggi d’auguri
per questa crociera straordinaria.
E trasmetteva saluti e speranze
in quasi tutte le lingue del mondo,
comunicava tra Vienna e Chicago
in poco meno di un secondo.
E la ragazza di prima classe, innamorata del proprio cappello,
quando la sera lo vide ballare lo trovò subito molto bello.
Forse per via di quegli occhi di ghiaccio così difficili da evitare,
pensò “Magari con un pò di coraggio, prima dell’arrivo mi farò baciare”.
E com’è bella la vita stasera, tra l’amore che tira e un padre che predica,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America,
per noi ragazze di terza classe che per non sposarci si va in America.
FRANCESCO DE GREGORI
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