Sulle mie orme trotterella un vitello mite,
sono qui, arrivo dalle colline,
il sole ha cinto la mia fronte dura di una corona rossa,
come Arione,
e mi hanno mandato a cantare.
Al mio canto l’aria si riscalda, brilla di miraggi,
se parlo dei miei sogni.
Punto diritto innanzi a me, ogni tanto mi fermo, sotto il gelso,
dove sta all’ombra, in una brocca di argilla,
la dolce acqua da bere, medito, non trovo pace in nessun luogo,
cammino, commino sempre, il ritmo
dei miei passi culla i miei freschi pensieri,
i miei sentimenti nuotano in onde morbide
sopra i campi di segala.
Ai miei piedi la terra sorride di arguti segreti;
è mia questa terra, mi ha allevato.
Il sentiero tra i campi o il terriccio di seta furono le miei fasce
Sotto i cespi di patate chiocce.
Il cielo mi faceva il bagno e mi cambiava con le sue calde dita,
mentre mia madre zappava giù dalla valle.
Sono cresciuto con gli alberi, le giovenche, i venti, con migliaia
Di fratelli di latte chiassosi.
La sera torno a casa stanco, al mio fischio si ferma la lepre,
mi saluta: vivi bene, fratello!
All’imbrunire sboccia il mio cuore, si copre di rugiada.
Sto seduto presso l’uscio della soffitta o su un covone di fieno,
sognando dell’altra patria delle cicogne.
Dirigo i concerti della notte, quello delle rane, dei cani,
e sul fare dell’alba, quello degli uccelli.
Ma talvolta la mia fronte si oscura, la corona mi cade
Con uno schianto.
Nel fumo del comignolo il naso mi ricorda la pelle
Bruciata di Giorgio Dozsa:
come se avessi mangiato un boccone del suo corpo, lo stomaco si ribella,
il mio sputo è vetriolo,
coll’aiuto di Dio potreste vedere come corrode, nero.
GYULA ILLYÉS