Il lamento

Di Cipro amabil Dio,
lo, questo altare adorno,
Di maggio al primo giorno,
T’alzai nel mio giardino

Di rose e lauri il cinsi,
E ombrato lo difesi
Del Sol dai raggi accesi,
Con mirti e gelsomin.

Amor! su questo altare,
Io forse non t’ho offerto
Ogni mattino un serto
De’ più leggiadri fior?

Erano tutti tutti
Umidi quelli ancora
Del pianto dell’aurora,
Sbocciati allora alloro

Ma so che tu ten ridi
Di tanti miei lamenti,
Che il verno già coi venti
Le piante e il fior rapì.

E Fille… ahimè che Fille,
Contro di me ognor fiera,
E’ tale ancor qual era
Di maggio al primo di.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on Maggio 19, 2021 at 07:30  Lascia un commento  

Che stai?

Che stai? Già il secol l’orma ultima lascia;
dove del tempo son le leggi rotte
precipita, portando entro la notte
quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia,
troppo hai del viver tuo l’ore prodotte;
or meglio vivi, e con fatiche dotte
a chi diratti antico esempi lascia.

Figlio infelice, e disperato amante,
e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d’anni e rugoso in sembiante,

che stai? Breve è la vita, e lunga è l’arte;
a chi altamente oprar non è concesso
fama tentino almen libere carte.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on febbraio 7, 2020 at 06:55  Lascia un commento  

Di se stesso

.
Non son chi fui; perì di noi gran parte:
Questo che avanza è sol languore e pianti.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
Del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte.
L’umana strage, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
A mia fiera ragion chiudon le porte
Furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte
Conosco il meglio ed al peggior ‘mi appiglio:
E so invocare e non darmi la morte.
.
NICCOLO’ UGO FOSCOLO
Published in: on febbraio 13, 2019 at 07:30  Lascia un commento  

All’amata

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Meritamente, però ch’io potei
abbandonarti, or grido alle frementi
onde che batton l’alpi, e i pianti miei
sperdono sordi del Tirreno i venti.

Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
in lungo esilio fra spergiure genti
dal bel paese ove meni sì rei,
me sospirando, i tuoi giorni fiorenti,

sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
rupi ch’io varco anelando, e le eterne
ov’io qual fiera dormo atre foreste,

sarien ristoro al mio cor sanguinente;
ahi vota speme! Amor fra l’ombre e inferne
seguirammi immortale, onnipotente.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on ottobre 31, 2018 at 06:54  Comments (2)  

Il proprio ritratto

.
Soleata ho fronte, occhi incavati intenti,
Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
Tumidi labbri ed al sorriso lenti,
Capo chino, bel collo, irsuto petto;
Membra esatte; vestir semplice eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
Sobrio, ostinato, uman, prodigo, schietto,
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso;
Alle speranze incredulo e al timore,
Il pudor mi fa vile e prode l’ira:
Cauta in me parla la ragion; ma Il cuore,
Ricco di vizj e di virtù, delira
Morte, tu mi darai fama e riposo.
.
NICCOLO’ UGO FOSCOLO
Published in: on Maggio 22, 2018 at 07:01  Comments (1)  

Alla bellezza

O tu, cui dolce imperio
Su i cor natura diede,

Bionda beltà, cui servono
Tenero Amore e Fede,

De’ versi miei spontanei
Accetta ingenuo dono,
Se a te i miei versi piacciono
Anch’io poeta or sono.

D’un tuo sorriso roseo
Irraggia i canti miei,
Che i tuoi sorrisi beano
Fin su l’Olimpo i Dei.

Tu di leggiadra vergine
Splendi negli occhi vaghi,
Donde con dardi amabili
Soavemente impiaghi;

E tu sul labbro armonico,
O Dea, vi stai scolpita,
Che mentre accenti modula
A sospirare invita.

Ancelle tue ti sieguono
Le linde Grazie, e stanno
Tutte su un braccio latteo
Con cui tu tessi inganno:

Inganno tessi; e all’anima
D’un giovanetto amante
Rendi più dolce e tenero
Il vezzo più incostante.

Ma, o bionda Dea, se furono
A te miei spirti avvinti,
Se i miei versi cantarono
Da’ tuoi color dipinti;

Pietà d’un Vate: al misero
Gli arde fanciulla il seno;
Fa’ ch’ella sia più stabile,
O men vezzosa almeno.

Vola ne’ dì purpurei
Il garzoncel di Flora;
Vieni, ella dice, o Zefiro,
In braccio a chi t’adora;

Vieni… Ma sordo e celere
Ei fugge, e non l’ascolta;
Quando a lui piace è libero,
E la catena ha sciolta.

Ahi che pur scioglie il laccio
Questa tiranna mia;
Ama: ma impune fuggesi
D’amor s’ella il desia.

Lasso! ch’io pur desidero
Fuggir da’ lacci suoi,
Ma tu, beltade amabile,
Tu consentir non vuoi.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on marzo 10, 2018 at 06:51  Comments (5)  

E tu ne’ carmi avrai perenne vita

E tu ne’ carmi avrai perenne vita
sponda che Arno saluta in suo cammino
partendo la città che dal latino
nome accogliea finor l’ombra fuggita.

Già dal tuo ponte all’onda impaurita
il papale furore e il ghibellino
mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
del fero vate la magion si addita.

Per me cara, felice, inclita riva
ove sovente i pie’ leggiadri mosse
colei che vera al portamento Diva

in me vologeva sue luci beate,
mentr’io sentia dai crin d’oro commosse
spirar ambrosia l’aure innamorate.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on settembre 24, 2017 at 07:48  Comments (4)  

A Luigia Pallavicini caduta da cavallo

I balsami beati
Per te le Grazie apprestino,
Per te i lini odorati
Che a Citerea porgeano
Quando profano spino
Le punse il piè divino,

Quel dí che insana empiea
Il sacro Ida di gemiti,
E col crine tergea,
E bagnava di lagrime

Il sanguinoso petto
Al ciprio giovinetto.

Or te piangon gli Amori
Te fra le Dive liguri
Regina e Diva! e fiori
Votivi all’ara portano
D’onde il grand’arco suona
Del figlio di Latona.

E te chiama la danza
Ove l’aure portavano

Insolita fragranza,
Allor che, a’ nodi indocile,
La chioma al roseo braccio
Ti fu gentile impaccio.

Tal nel lavacro immersa,
Che fiori, dall’inachio
Clivo cadendo, versa,
Palla i dall’elmo liberi
Crin su la man che gronda
Contien fuori dall’onda.

Armonïosi accenti
Dal tuo labbro volavano,
E dagli occhi ridenti
Traluceano di Venere
I disdegni e le paci,
La speme, il pianto, e i baci.

Deh! perché hai le gentili
Forme e l’ingegno docile
Vôlto a studi virili?
Perché non dell’Aonie

Seguivi, incauta, l’arte,
Ma i ludi aspri di Marte?

Invan presaghi i venti
Il polveroso agghiacciano
Petto e le reni ardenti
Dell’inquïeto alipede,
Ed irritante il morso
Accesce impeto al corso.

Ardon gli sguardi, fuma
La bocca, agita l’ardua

Testa, vola la spuma,
Ed i manti volubili
Lorda, e l’incerto freno,
Ed il candido seno;

E il sudor piove, e i crini
Sul collo irti svolazzano;
Suonan gli antri marini
Allo incalzato scalpito
Della zampa, che caccia
Polve e sassi in sua traccia.

Già dal lito si slancia
Sordo ai clamori e al fremito;
Già già fino alla pancia
Nuota… e ingorde si gonfiano
Non piú memori l’acque
Che una Dea da lor nacque.

Se non che il re dell’onde
Dolente ancor d’Ippolito
Surse per le profonde
Vie dal tirreno talamo,

E respinse il furente
Col cenno onnipotente.

Quei dal flutto arretrosse
Ricalcitrando e, orribile!
Sovra l’anche rizzosse;
Scuote l’arcion, te misera
Su la petrosa riva
Strascinando mal viva.

Pera chi osò primiero
Discortese commettere

A infedele corsiero
L’agil fianco femineo,
E aprí con rio consiglio
Nuovo a beltà periglio!

Ché or non vedrei le rose
Del tuo volto sí languide;
Non le luci amorose
Spiar ne’ guardi medici
Speranza lusinghiera
Della beltà primiera.

Di Cinzia il cocchio aurato
Le cerve un dí traeano,
Ma al ferino ululato
Per terrore insanirono,
E dalla rupe etna
Precipitàr la Dea.

Gioían d’invido riso
Le abitatrici olimpie,
Perché l’eterno viso,
Silenzïoso, e pallido,

Cinto apparía d’un velo
Ai conviti del cielo;

Ma ben piansero il giorno
Che dalle danze efesie
Lieta facea ritorno
Fra le devote vergini,
E al ciel salía piú bella
Di Febo la sorella.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on giugno 5, 2015 at 07:06  Comments (2)  

Alla amica risanata

Qual dagli antri marini
L’astro più caro a Venere
Co’ rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo viaggio
Orna col lume dell’eterno raggio;

Sorgon così tue dive
Membra dall’egro talamo,
E in te bèltà rivive,
L’aurea beltate ond’ebbero
Ristoro unico a’ mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa, tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidiando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de’ farmachi,
Oggi l’indica veste
E i monili cui gemmano
Effigiati Dei
Inelito studio di scalpelli achei,

E i candidi coturni
E gli amuleti recano,
Onde a’ cori notturni
Te, Dea, mirando obliano
I garzoni le danze,
Te principio d’affanni e di speranze:

0 quando l’arpa adorni
E co’ novelli numeri
E co’ molli contorni
Delle forme che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto

Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l’agile
Corpo all’aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.

All’agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide all’aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l’alma salute April ti manda.

Così ancelle d’Amore
A te d’intorno volano
Invidiate l’Ore.
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.

Mortale guidatrice
D’oceanine vergini,
La parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi
Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l’elisio
Soglio ed il certo telo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona.
Un tempo invitta amazzone,
Die’ il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l’egida
or contro l’Anglia avara.
E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu, Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l’isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
Ivi erra ignudo spirito
Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando sui futti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira:

Ond’io, pien del nativo.
Aer sacro, su l’itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie,
E avrai divina i voti
Fra gl’inni miei delle insubri nepoti.

NICCOLO’ UGO FOSCOLO

Published in: on luglio 12, 2014 at 07:26  Comments (2)  

A Firenze

E tu ne’ carmi avrai perenne vita
Sponda che Arno saluta in suo cammino
Partendo la città che del latino
Nome accogliea finor l’ombra fuggita.

Già dal tuo ponte all’onda impaurita
Il papale furore e il ghibellino
Mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
Del fero vate la magion s’addita.

Per me cara, felice, inclita riva
Ove sovente i piè leggiadri mosse
Colei che vera al portarnento Diva

In me volgeva sue luci beate,
Mentr’io sentia dai crini d’oro commosse
Spirar ambrosia l’aure innamorate.

.

NICCOLÓ UGO FOSCOLO
Published in: on settembre 3, 2013 at 07:16  Comments (3)