Mater saeva Cupidinum
Thebanaeque iubet me Semeles puer
et lasciva licentia
finitis animum reddere amoribus.
Urit me Glycerae nitor
splendentis Pario marmore purius:
urit grata protervitas,
et vultus, nimium lubricus adspici.
In me tota ruens Venus
Cyprum deservit; nec patitur Scythas,
et versis animosum equis
Parthum dicere, nec quae nihil attinent.
Hic vivum mihi cespitem, hic
verbenas, pueri, ponite, thuraque,
bimi cum patera meri:
mactata veniet lenior hostia.
§
La madre crudele degli Amori
e il figlio della cadmia Semele
e la lasciva licenza mi comandano
di volgere ancora il mio animo agli amori finiti.
Il fulgore di Glicera m’arde,
più puro dello splendido marmo pario;
m’arde la sua adorabile protervia
e il suo sembiante troppo rischioso a guardarsi.
In me tutta irrompendo
Venere lasciò Cipro, e mi proibisce
di cantare gli Sciti o i Parti audaci
nel volgere i cavalli, o ciò che non riguardi amore.
Zolle vive ponete qui, o servi,
e fronde e incensi e una patera
con vino di due anni. Al sacrificio
della vittima Venere sarà più mite.
QUINTO ORAZIO FLACCO