Hai mani larghe

hai mani larghe capienti e morbide
nel palmo vi deposito di me
pensieri racchiusi in gusci di noce
mandorle ancora in fiore
nocciole pronte da mettere sotto i denti
piene di sapore da far girare in bocca
e bacche rosse, mirtilli, fragoline di bosco
vi metto tutti gli odori che conosco
di erbe foglie terra e cortecce e muschio
il resto è acqua che scivola fra le dita
sorgente chiara acqua di fonte
che scorre fra le rocce dure esce dalla terra
dal profondo da strati sedimentati che non conosciamo
a cui ci abbeveriamo e non sappiamo

azzurrabianca

Clown

Il nano
guarda e ride,
salta e si balocca
davanti a tutta
quella folla sciocca,
che ancor più ride.

La folla
cieca uccide
l’anima del nano
con l’ egoismo
della gente sciocca
che solo ride.

Il nano
scherza, ride,
corre veloce, si balocca
facendo tanti
versacci con la bocca
piccola, e ride.

Quando
egli è solo,
a casa sua, ripensa
alla natura
crudele, verso lui solo
e, amaro, ride . . .

Ma all’ improvviso,
un bimbo biondo
anch’ egli ride
con gli occhi e con la mano;
lagrima dolce, ora scende
al nano . . .
NON TUTTO E’ INVANO!

Paolo Santangelo

(A Diego il Fantastico, del Circo di Moira Orfei)

Published in: on luglio 12, 2012 at 07:45  Comments (14)  
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Musica e “pignate”

In mezzo alla passione
metto sempre
musica e padelle:
entrambe lasciano ascoltare
i gusti prima del loro sapore:
in bocca abitano
spessori che fuggono
nella digestione d’un bel ricordo.

Ora son sempre di fretta
da qui
al momento d’un successivo
farmi avanti nelle eccezioni
che ancora non conosco.
Mi ripeto in default o coscienza
questo ancora non lo so
se non quando tra le mani
m’accorgo d’aver un capello bianco.

Torno tra i sogni miei,
tra le canzoni ascoltate mille volte
_o forse più
mentre nell’ ubriachezza del ricordo degustato
riaffiora quel profumo di seta
scioltosi nella pettinatura demodé,
ma non ha importanza più:
la vita sa fermarsi anche così…

Glò

Il mostro mangiacarta

 
Mercoledì ventoso:  già la sera
Accende i lumi; la città si accuccia
Tra i domestici muri, e più leggera
Si fa la soma del giorno che muore.
 .
Infreddolita, sogno le pantofole;
urto tra il marciapiede e il cassonetto
la plastica di sacchi ammonticchiati
verdi e rigonfi;
 .
imprigionan notizie già obsolete
buone, cattive, sciocche od importanti?
Lettere colorate o in bianco e nero
destinate a stupire od ingannare
celando il vero?
 .
Oppure vecchie pagine d’amore
Di chi oggi non è più? Dimenticate?
E tutte, tutte verranno divorate
Dal  Mostro Mangiacarta  e……riciclate!
 .
M’assale un dubbio e scaglio un anatema:
– Mercoledì ventoso, è già la sera
di un anno che di certo io non vedrò;
lui tornerà puntuale, ora di cena;
e se ingoiar vorrà la mia poesia,
ecco la profezia che do per certa
“possa grippare restando a bocca aperta!”

Viviana Santandrea

M’è cara solitudine

M’è cara, solitudine, soltanto dopo amore;
come m’è caro il verde dell’acqua
e l’ogni vista, sul marmo delle belle fontane
dove china
mettevi bocca e gonna scozzese.
E me, vicino, nel tentativo poco riuscito di salvare
almeno i piedi dalle freddate
dai ricami, che intorno al labbro e fino ai tuoi nei
ti usava il sole.
M’è cara come certe conchiglie da non dire
quell’utopia che in mezzo alle gambe
altro che mare!
E che mostrare corpo regina!
Da un balcone, un parapetto
o altre prospettiche teatrali.
M’è cara come tua consistenza, come il melo
che l’ombra catapulta sopra la rete e il prato;
m’è cara come prima del sonno la tua vena
la pulsazione e il pari respiro,
la tua coscia
e l’ombelico che non sta zitto, neanche a notte.

Massimo Botturi

Nell’attesa di rivederti

Ti dipingo su tela d’oro puro
per rinnovare il piacere del tuo viso.
Piccole labbra che già sanno il sorriso
imparano il linguaggio del pensiero.

E quella bocca che fino a ieri
suggeva solo nettare di vita
ora s’atteggia al dire con impegno
gorgheggiando come un uccellino.

Ma sono gli occhi che non so rifare.
Nessun colore può rendere la luce
che d’intelligenza brilla e d’innocenza
germe di quell’amore misterioso

che unisce terra al cielo
in un’ irripetibile simbiosi
che sovrasta dell’intelletto ogni cognizione.
Ed è tenera emozione.

Elide Colombo

Giorni

Non uno a farmi il filo
e tirarmi su lo zigomo,
mi saltellano in tanti
repentini,
con il carrello della spesa,
girano intorno alla caviglia
ch’è già stata compromessa.

Si prendono di me
il canto morto in gola,
il filler non assolve
la piega giro bocca,
né contrae la smorfia
di stupore, alla bimbetta
che trascina il sole.

E il dopo, torna indietro
mi sale sulla ruga,
tento braccia alzate
l’invito a proseguire,
annodo ancora il verso
del mattino,
chè avere l’oro sulle spalle nude
non è premessa inutile,
né gioco.

Beatrice Zanini

Orme di sabbia

Arrancano i ricordi di un sentiero,
di foglie e ricci secchi per tappeto,
scricchioli autunnali sempre amati,
da sandali di gomma avventurieri.
Scioglievano i colori novembrini,
confusi da giudizi ancora acerbi,
profumi amici di brusii lontani
e nudi nidi, sui legnosi arti;
sfioravano le punte nubi incaute,
il cielo era lì, poco discosto,
e come un album da ricolorare,
offriva forme alla mia bocca aperta.
Ma i giorni lo stradino hanno scordato
e quando son tornato per cercare,
i rovi mi hanno dato il benvenuto
e non sapevo più dove guardare.
Invecchia l’uomo e riga sulla fronte:
è ruga d’oro scritta dal tragitto,
che se non si percorre più sovente,
svanisce, righiottita dagli sterpi.

Flavio Zago

Nella palude

Non abbiamo più bisogni
Abbiamo tutto
Dalle case ai casini
Dalle ville alle barche
Alle vacanze

Nutriamo odio
Spariamo maledizioni di gelosia
Vogliamo essere più ricchi
E inseriti in tutte le realtà
Anche virtuali

Siamo tutti malati di stress
Siamo pieni di problemi
Ma di facciata abbiamo tutto
Come sopra

Non ci vergogniamo di nulla
Siamo campioni di maleducazione
Di inciviltà e millanteria
E guai a non ostentarla

I bambini ci guardano
Solo loro si meravigliano
E ci balbettano parole sensate
Sentite in altri tempi
Che non sono più i nostri

I bambini ci guardano
E noi siamo nudi
Priivi anche della pelle
Che ormai puzza
di mille e una mostruosità

Siamo pieni di pascoli di sangue
Di fiumi avvelenati
Di corpi umani affamati
Di soldati che vanno alla guerra
Dovunque

E abbiamo gli occhi e la bocca
Pieni di abbracci di pace
Di falsità
Di bandiere imbrattate e offese
Nel nome dell’imbecillità umana

Abbiamo tutto abbiamo niente
Un bambino
Un popolo di bambini disperati
E’ dietro e dentro di noi
Noi che così non esistiamo

Evviva!

Gavino Puggioni

La tempesta

E non m’importa del seme sradicato
dell’alberata braccia protese
dei cavalli
che cento, forse mille, già battono sul muro.
Natura e privilegio m’è l’esserti vicino,
sopra le tempia, uscio del fuoco;
benestante
dell’oro dei capezzoli e dell’ombra del mascara.
M’è privilegio e risa felici, pasto nudo
protervia sdolcinata del fiore che s’allaga.
M’è privilegio come tra l’onde farmi remo
cavare luce e aria con bocca da gigante
con occhi liquefatti e guardinghi.
Ché sicura, tu sei come lettiga in stagione di bufera
come la piaga avvolta nel lino
rossa
scura;
la via di guarigione che, netta, fa l’amore.

Massimo Botturi