Della sterile e tetra vita veneziana

Della sterile e tetra vita veneziana
m’è chiaro il senso.
Ecco che guarda con un frigido sorriso
dal decrepito vetro azzurro.

L’aria tersa della pelle. Le venature azzurre.
La candida neve. Il verde broccato.
Si viene tutti distesi su lettighe di cipresso,
assonnati, caldi si viene tratti dal sudario.

E ardono, ardono nei canestri le candele,
come se una colomba fosse entrata nell’arca.
A teatro e in oziosa pubblica assemblea
un uomo sta morendo.

Poiché non v’è scampo dall’amore e dalla paura:
è più greve del platino l’anello di Saturno!
Di nero velluto è parato il patibolo
e il viso meraviglioso.

Sono grevi, o Venezia, i tuoi paramenti,
gli specchi nelle cornici di cipresso.
Sfaccettata la tua aria. Nell’alcova si sciolgono i monti
di decrepito azzurro.

Solo tra le dita una rosa o un’ampolla,
o verde Adriatico, perdona!
Perché mai taci, dimmi, o veneziana,
come sfuggire a questa morte festosa?

Tremola nello specchio il Vespro nero.
Tutto passa. La verità è oscura.
L’uomo nasce. La perla muore.
E Susanna deve attendere i vecchioni.

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on Maggio 12, 2020 at 07:03  Lascia un commento  

Sto nel cuore del secolo

Sto nel cuore del secolo; incerta è la strada; e ogni
mèta col tempo sfuma all’orizzonte:
il frassino stremato del bordone,
la miseranda patina del bronzo.

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on settembre 16, 2019 at 07:35  Lascia un commento  

Un brutto giorno

Oggi è un brutto giorno:
dorme il coro delle cavallette
e l’ombra delle cupe rocce
è più tetra di una lapide.
Sibilare di frecce che passano
E grida di corvi profetici…
Vedo, in un brutto sogno,
l’istante inseguire l’istante.
Allontana i limiti dei fenomeni,
distruggi la gabbia terrestre,
leva un inno furioso
il rame dei segreti in rivolta!
O pendolo severo delle anime,
oscilla dritto e sordo
e, con passione, il fato bussa
alla porta proibita, per noi

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on febbraio 20, 2019 at 07:21  Comments (2)  

Si perdono lontani…

Si perdono lontani i rilievi delle teste degli uomini:
là io rimpicciolisco – non mi vedranno più,
ma nei libri cari e nei giochi dei bambini
risorgerò per dire come il sole splende…

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on marzo 23, 2018 at 06:59  Comments (1)  

Odio la luce

Odio la luce
delle stelle monotone.
Salve, mio antico delirio –
crescita della torre ogivale!
Pietra, sii come merletto
e diventa una ragnatela.
Ferisci con un ago sottile
il petto vuoto del cielo!
Così sarà il mio turno –
sento un’apertura di ali.
Così – dove va
la freccia del pensiero vivo?
O forse, portati a termine la strada e la data,
io tornerò:
là – non posso amare
qua – ho paura di amare…

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on luglio 27, 2017 at 07:43  Lascia un commento  

Pedone

Sento una paura invincibile
in presenza dell’altezza misteriosa;
io sono soddisfatto della rondine nei cieli
e amo il volo delle campane!

E, sembra, antico pedone,
che sopra l’abisso, sui ponti che si curvano,
ascolto come cresce una palla di neve
e l’eternità batte sulle ore di pietra.

Se così fosse! Ma io non sono
quel viandante che passa rapido sulle foglie sbiadite
e veramente in me canta la tristezza.

In realtà, la valanga è sulle montagne!
E tutta la mia anima è nelle campane
ma la musica non salva dall’abisso!

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on Maggio 23, 2016 at 07:47  Comments (3)  

Lo dico in brutta copia, a voce bassa

Dadi

Lo dico in brutta copia, a voce bassa,
ché non è ancora venuto il momento:
il gioco del cielo irresponsabile
si attinge col sudore e l’esperienza.

E sotto il cielo dimentichiamo spesso
– sotto un purgatoriale cielo effimero –
che il felice deposito celeste
è una mobile casa della vita

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on giugno 24, 2015 at 07:43  Comments (1)  

Così rispettata, così nera

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Così rispettata, così nera, tutta circondata di cure,
tutta piccoli garresi, tutta aria e attenzioni,
tutta che si sbriciola, tutta che fa coro –
umide zolle della mia terra e libertà…Nei giorni della prima aratura è nera fino all’azzurro,
e disarmato ci si fonda il lavoro –
mille colli di voci che corrono arate:
c’è qualcosa di sconfinato, si vede, in questi confini.E tuttavia la terra è svista e testa della scure.
Non la ottieni supplicandola, non buttarti ai suoi piedi:
come un flauto che marcisce fa spalancare le orecchie,
come un clarinetto mattutino raggela l’udito…

Come fa piacere lo strato di grasso che arriva sul vomere,
com’è stesa la steppa nel rivangare di aprile!
Dunque salve, terra nera: sìì forte, tutt’occhi…
neroeloquente silenzio del lavoro.

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM
Published in: on marzo 31, 2015 at 09:10  Comments (6)  

Mio stupendo, mio povero secolo

Mia età, mia belva, chi potrà
guardarti dentro agli occhi
e saldare col suo sangue
le vertebre di due secoli?
Dalla gola delle cose terrestri
fiotta sangue fabbriciere.
Sulla soglia dei nuovi giorni
a tremare è soltanto il parassita.

Finché c’è vita deve la creatura
portare la propria schiena,
vanno, scherzano i flutti
con l’invisibile spina dorsale.
Tenera, infantile cartilagine
è l’era neonata della terra.
Di nuovo, agnello, hanno immolato
l’osso frontale della vita.

Per liberare il secolo in catene,
per dare inizio al mondo nuovo,
bisogna a flauto saldare
i segmenti nodosi dei giorni.
È il secolo che l’onda
di umana angoscia sommuove,
all’aureo ritmo del secolo
nell’erba la vipera respira.

E si gonfieranno ancora le gemme
e zampillerà il verde dei germogli.
Ma è spezzata la tua spina dorsale
mio stupendo, mio povero secolo.

E con un sorriso demente,
come una belva un tempo flessuosa
ti volti indietro, debole e crudele,
a contemplare le tue orme.

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on marzo 10, 2014 at 06:54  Comments (2)  

Sole e miele

Prendi dalle mie palme per tua gioia
un po’ di sole ed anche un po’ di miele,
come voglion l’api di Persèfone.

Nave non ormeggiata non si salpa,
nè s’ode l’ombra avvolta di pelliccia,
nè qui al mondo si vince la paura.

I baci ci rimangono soltanto,
baci così pelosi come l’api,
che muoiono lasciando l’alveare.

E ronzan nelle notti di dicembre:
la loro patria è il bosco del Taigèto,
e cibo, il tempo, l’edera e la menta.

Prendi il mio fiero dono per tua gioia,
l’arido e brutto vezzo d’api morte
che il miele sanno trasmutare in sole.

OSIP ĖMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM

Published in: on dicembre 21, 2013 at 06:55  Comments (2)