La tua Musa

A volte
la scorgi giacere lieve
in versi senza vita,
o crepitare
in algida assenza
dagli ovunque
a cui t’ispiri.
Altre,
l’avvisti
a distanza stonare
mollando gli ormeggi
dal mare delle tue cose.

Lei salpa
dal pianto d’un calamaio
per la sua china appassita,
da quello d’una penna d’oca
per il pugno che non l’intinse,
dall’eco che non ritorna
della tua ispirazione.

E cerchi altrove
una risposta
che nutra la vena di poesia,
la stessa
che ti si accosta compiaciuta
felpata come donna
ad appagarsi nel tuo letto,
scivolando via
col dolore nei versi
che non sai più cantarle,
lussuriosa ormai d’altri lidi
che il tuo è deserto.

Daniela Procida