Ghigno diventa

il sorriso di chi
non ci crede
sorride per ferire
o per deridere chi
sorride con grazia
non illumina chi 
cieco non vede
e non si vede…
Angolo di bocca
tirato strappato
per sentire ancora
a cosa può servire
si può immaginare
quando si socchiudono
gli occhi per svagare
l’animo in crociere
nei mari tropicali…
Ma l’occhio cieco
dimentica il sognare
a occhi aperti perde
nella mente il bello
e perisce al buio
assente l’illusione
è incubo notturno…
Di soprassalto
sveglia la notte
timore di soffocare
nessuno può sentire
nessun sorriso
solamente un grido
fa sentirlo vivo…

Antonietta Ursitti

Published in: on novembre 28, 2019 at 07:48  Comments (3)  

Fumo di sogni

Il mio cuore 

ha un angolo segreto 

dove un qualche sogno 

che non è proprio sogno

fa sbocciare sogni 

nella stanza di fiori 

dove profumo dolce 

mi commuove.

salgo nel cielo 

a fabbricare stelle,

cadono scintille 

ci si illude

di poterle afferrare.

Questa magia del cuore 

che gioca con i versi 

toccando con le dita 

attimi di parole 

abbraccia la dolcezza 

con gli occhi chiusi, 

per paura 

del buio della luce,

lascia fumo di sogni 

nella stanza.

 

Giuseppe Stracuzzi

Published in: on novembre 28, 2019 at 07:17  Comments (3)  

Voze

Voze, che sciacqui al sole la miseria
delle tue poche case, ammonticchiate
come pecore contro l’acquazzone;
e come stipo di riposti lini
sai di spigo, di sale come rete;

– nell’ombra dei tuoi vichi zampa il gallo
presuntuoso; gioca sulla soglia
il piccolo, con dietro il buio e il freddo
della cucina dove su ramaglie
una vecchia si china ad attizzare;
sulle terrazze splende il granoturco
o rosseggia la sorba; nel coltivi
strappati all’avarizia della roccia
i muretti s’ingobbano, si sbriciola
la zolla, cresce storto e nano il fico –

in te, Voze, m’imbatto nel bambino
che fui, nel triste bimbo che cercava
in terra mele mézze per becchime
buttate, tratto dall’oscuro sangue
a mordere ai rifiuti;
nel cattivo celato dietro l’uscio
che godeva d’udirsi per la casa
chiamare da colei che lo crebbe
– e si torceva presso lui non visto,
la povera, le mani e supplicava
che s’andasse con pertiche alla gora.
Quando bevuto egli abbia ad ogni pozza
guasta,
più nessuno lo cerchi per la casa
vuota,
come in madre in te possa rifugiarsi.

Se l’occhio che restò duro per l’uomo
s’inteneriva ai volti della terra,
nella casa di allora che inchiodato
reca sull’uscio il ferro di cavallo
portafortuna,
sérbagli sopra i tetti la finestra
che beve al lapislazzulo laggiù
del mare, si disseta
alla polla perenne dell’ulivo,

Voze, soave nome che si scioglie
in bocca…

CAMILLO SBARBARO

Published in: on novembre 28, 2019 at 06:55  Lascia un commento