Cosa copriva

Quando si tolse il cappotto
si vide bene ogni particolare
segni d’irriconoscimento li potremmo dire
non servono bottoni mormorò la donna

prima sfilò le maniche
era in piedi e guardava davanti
un moto si risolse nello specchio

ci si sforzava di distinguere
gigli in penombra
le passamanerie delle pareti

i movimenti cauti
si poteva cadere per un sibilo
o vorticare un attimo
dipendeva dal gesto volontario e dalle storie
che un ninnolo cinese riusciva a raccontare
forse un foulard turchese poteva ricoprire
non è detto
un altare per cerimonie mimiche

fu così che perdette prima il corpo
sotto non c’era niente, non domandate come
era rimasto solo un che d’argento, sembravano capelli
non fu mai confermato.

qualcuno espresse un desiderio
credendole perseidi cadute dallo sciame

Cristina Bove

Si va sparendo


Rarefazione estrema
si svanisce
non c’è calore a ricordare
odori suoni segni sulla pelle
quando si stava muti nei risvolti
di copertine intonse
a tacere di versi non ancora pensati
impronunciati dalle rime chiuse
delle labbra
siamo sfioriti nella nebbia
dei posti a vedere
mentre perdiamo i pezzi di noi stessi
la carne ch’era nata e che ci fu
sottratta
e imparammo a barare
con le stagnole spiegazzate
di carte nelle maniche
capaci di tradire i nostri giorni
al tavolo da tè.
Oppure andiamo disperati
e scalzi
spine d’acacia
il vuoto che ci assedia.

Cristina Bove

Profondo dormi disperato sogno

Profondo dormi disperato sogno
di dolce solitudine che tanto
fedele m’accompagna nel bisogno.
Credimi, amore; credimi soltanto:

aggràppati al respiro dell’eterno
combattere del lupo col suo branco:
riprova un’altra estate e un altro inverno,
a rimanere avvinta nel mio fianco.

Duro colpisci di svelata noia
a rimboccare maniche e coperte,
a disperare qualsivoglia gioia

si desti all’ombra dei miei chiaroscuri.
T’aspetterò. Le braccia mie conserte
e gli occhi ciechi, dietro troppi muri.

Silvano Conti