Millenovecentoquarantaquattro

Una luna spaventosa già allarga la sua gonna:
fanno del tango lassù, miei cari.
I cedri malandati
si mangiano le foglie per troppa ombra in cuore;
le case si sputazzano luce, l’una all’altra
come alle mani fa l’uomo al campo
il vangatore.
O quello con la lampada in testa, in qualche buco
prima del puzzo che dice morte
prima ancora, d’aver pensato a un metro di terra
per suoi ossi.
Dite ai bambini di ritornare a casa
minestre fredde ancora per cena
acqua e vino.
Le donne si consumano gli occhi sopra i panni
coperte doppie per la nottata
e l’orinale, ch’è sempre da svuotare
per dio! Si faccia presto.

Massimo Botturi

Tutti i poeti del mondo

Tutti i poeti del mondo hanno un fucile
un lapis per vedetta
un secolo di piombo.
Hanno le rotative smangiate, le giberne
piene di fiori fatti di carta
l’uomo in mente, che siede su una panca
a contarci delle storie.
Tutti i poeti del mondo hanno vissuto
col naso sopra il filo spinato della morte;
contenti di grattarsi la rogna della fame
d’aver patito il freddo, le cosce di una donna.
Contenti delle loro minestre, del lavoro
di un’istruzione poco adeguata
di un cancello, con sopra il nome senza disturbo
di Francesca.
E due leoni fatti di pietra, un po’ invecchiati:
un posto per camparci le foglie
e andarci cauti
con noi, poco coraggio nel pugno
e molto sonno.

Massimo Botturi

Il peccato

Vivere privi dell’estasi è peccato.
Malati di rinunce,
di protocolli e chiese.
Fermarsi alle caviglie è peccato
in punta dita
adoperare bocca sentimentale appena
e la mia età sconvolta a non fare dei bambini.
Peccato è questa soma infelice, è non sapere
avere nelle gambe dei viaggi addormentati;
minestre la cui fame degli altri ne è trionfo.
Peccato è fare finta di niente, è irrigidirsi
passare sopra i fiumi come le foglie morte
senza bagnarsi fino all’osceno
senza grazia
o canti strepitosi alla curva del tuo seno.

Massimo Botturi