Le mani, la mia voce


Viticci arroventati si arrampicano
per le strette viottole
non li guardo neanche
sono sempre uguali, monotoni
non m’incantano più.
Sono altre le cose
che mi stupiscono:
un cuore che gronda fatti
e non solo parole d’amore,
un’alba che sazia di
profumo di gelsomino,
l’asfalto che luccica
di fresca pioggia,
le tue mani ecco proprio quelle,
mani che aprono accessi inesplorati,
mani che annullano fredde distanze,
mani che strappano fili spinati,
mani che ammainano nude bandiere,
mani che non temono la sconfitta,
mani che hanno il coraggio
di fermare duri proiettili.
Non mi stancherò mai di scrivere
finché ci saranno le mani
avrà spazio la solinga penna
sarà lei testimone alata
messaggera schiva e sincera
della mia anima.
Sono le mani la mia grande speranza
le mani, la mia voce.

Roberta Bagnoli

Africa


Oasi di palme
ombra luminosa
sole che filtra
e accende d’ocra il suolo
ma non lo brucia.
Sconfinati deserti
ove i tramonti
fanno di cielo e terra
un solo incendio.
Albe viola ed immobili
riscoprono dimore
di fango e sterco
dalle piogge erose
svuotate dalla guerra.
Tu, tutto questo sei
ed altro ancora…
Eden violato,
terra che l’Apartheid ha inseminato
di proiettili e odio
tra un popolo affamato
solo di fratellanza e di futuro.
Tu, continente puro
culla del mondo,
cuore di madre
martoriata ed offesa
prosciugata del latte
parte lesa
piangi i tuoi figli
nati guerrieri
morti minatori
per estrarre diamanti dal tuo ventre
nelle miniere dei predicatori
di “civiltà”.
Ancora scorre
e tu, costretta a bere
il loro sangue
ci gridi coi tam-tam il tuo: “riscatto!”
Un tuo proverbio dice:
“Muore il capretto
ma la sua pelle
continuerà a cantare”
Così, ogni lacrima
su di un nero visetto
rammenterà all’uomo il “disonore”
e per te, madre, il giusto rispetto.

Viviana Santandrea

Il testamento della storia


A chi lascerà i suoi guai?

Dove nascondersi per non essere interrogato?
Non potrai dire “io non c’ero”,
né mendicare innocenza,
né coprirti di cenere,
né fuggire nei boschi.

Boschi piallati per scrivere niente,
mari discariche di buste di plastica,
cieli violentati da ali d’argento,
profondità masticate da ruspe e trivelle,
il fumo che sale dal formicaio impazzito.

A chi lascerà le sue miserie?

Le capanne di fango con i tetti di palma,
i ventri gonfiati dagli occhi innocenti,
la vita vissuta per sopravvivere,
il cielo e la luna senza poesie.

A chi lascerà le sue controversie?

Le guerre senza fine, i proiettili all’uranio
le auto che esplodono, le bocche di cannone,
la strage giornaliera di poveri innocenti.

A chi lascerà i suoi statisti?

Lungimiranti come granchi,
si pavoneggiano nelle bandiere e nei salotti,
attenti ai sondaggi per non perdere un voto,
complimentandosi nelle proprie memorie.

A chi lascerà i poveri cristi?

Lorenzo Poggi