Lettera a un prigioniero

LETTRE A UN PRISONNIER

Ngom ! champion de Tyâné !

C’est moi qui te salue, moi ton voisin de village et de cœur.
Je te lance mon salut blanc comme le cri blanc de l’aurore, par dessus les barbelés
De la haine et de la sottise, et je nomme par ton nom et ton honneur.
Mon salut au Tamsir Dargui Ndyâye qui se nourrit de parchemins
Qui lui font la langue subtile et les doigts plus fins et plus longs
A Samba Dyouma le poète, et sa voix est couleur de flamme, et son front porte les marques du destin
A Nyaoutt Mbodye, à Koli Ngom ton frère de nom
A tous ceux qui, à l’heure où les grands bras sont tristes comme des branches battues de soleil
Le soir, se groupent frissonnants autour du plat de l’amitié.

Je t’écris dans la solitude de ma résidence surveillée – et chère – de ma peau noire.
Heureux amis, qui ignorez les murs de glace et les appartements trop clairs qui stérilisent
Toute graine sur les masques d’ancêtres et les souvenirs mêmes de l’amour.
Vous ignorez le bon pain blanc et le lait et le sel, et les mets substantiels qui ne nourrissent, qui divisent les civils
Et la foule des boulevards, les somnambules qui ont renié leur identité d’homme
Caméléons sourds de la métamorphose, et leur honte vous fixe dans votre cage de solitude.
Vous ignorez les restaurants et les piscines, et la noblesse au sang noir interdite
Et la Science et l’Humanité, dressant leurs cordons de police aux frontières de la négritude.
Faut-il crier plus fort ? ou m’entendez-vous, dites ?
Je ne reconnais plus les hommes blancs, mes frères
Comme ce soir au cinéma, perdus qu’ils étaient au-delà du vide fait autour de ma peau.

Je t’écris parce que mes livres sont blancs comme l’ennui, comme la misère et comme la mort.
Faites-moi place autour du poêle, que je reprenne ma place encore tiède.
Que nos mains se touchent en puisant dans le riz fumant de l’amitié
Que les vieux mots sérères de bouches en bouche passent comme une pipe amicale.
Que Dargui nous partage ses fruits succulents – foin de toute sécheresse parfumée !
Toi, sers-nous tes bons mots, énormes comme le nombril de l’Afrique prodigieuse.
Quel chanteur ce soir convoquera tous les ancêtres autour de nous
Autour de nous le troupeau pacifique des bêtes de la brousse ?
Qui logera nos rêves sous les paupières des étoiles ?

Ngom ! réponds-moi par le courrier de la lune nouvelle.
Au détour du chemin, j’irai au devant de tes mots nus qui hésitent. C’est l’oiselet au sortir de sa cage
Tes mots si naïvement assemblés ; et les doctes en rient, et ils ne restituent le surréel
Et le lait m’en rejaillit au visage.
J’attends ta lettre à l’heure ou le matin terrasse la mort.
Je la recevrai pieusement comme l’ablution matinale, comme la rosée de l’aurore.

§

Ngom! campione di Tyâné!

Sono io che ti saluto, il tuo vicino di villaggio e di cuore.
Ti lancio il mio saluto bianco come il grido bianco dell’aurora,
al di sopra dei reticolati
dell’odio e dell’idiozia, e ti nomino con il tuo nome e il tuo onore.
Il mio saluto al Tamsir Dargui Ndyâye che si nutre
di pergamene
che gli fanno sottile la lingua e più fini e più lunghe le dita
a Samba Dyouma il poeta, la cui voce ha il colore della fiamma
e che reca in fronte il marchio del destino
a Nyaoutt Mbodye, a Koli Ngom tuo fratello di nome
a tutti coloro che, nell’ora in cui le grandi braccia sono tristi
come rami battuti dal sole
la sera si raggruppano rabbrividendo intorno al piatto
dell’amicizia.
Ti scrivo dalla solitudine della mia residenza sorvegliata – e
cara – della mia pelle nera.
Amici fortunati, che ignorate i muri di ghiaccio e gli appartamenti
troppo chiari che sterilizzano
ogni seme sulle maschere degli antenati e i ricordi stessi
dell’amore.
Voi ignorate il buon pane bianco e il latte e il sale, e i piatti
sostanziosi che non nutrono, che dividono i borghesi
e la folla dei viali, i sonnambuli che hanno rinnegato la loro
identità di uomini
camaleonti sordi della metamorfosi, e la loro vergogna vi
fissa nella vostra gabbia di solitudine.
Ignorate ristoranti e piscine, e la nobiltà vietata al sangue nero
e la Scienza e l’Umanità, che tendono i loro cordoni di polizia
alle frontiere della négritude.
Bisogna gridare più forte? O voi mi sentite? Ditemelo.
Non riconosco più gli uomini bianchi, miei fratelli
come questa sera al cinema, perduti com’erano al di là del
vuoto creato intorno alla mia pelle.
Ti scrivo perché i miei libri sono bianchi come la noia, come
la miseria e come la morte.
Fatemi posto intorno al braciere, che io possa riprendere il
mio posto ancora tiepido.
Che le nostre mani si tocchino attingendo il riso fumante
dell’amicizia
che le vecchie parole indigene passino di bocca in bocca
come una pipa amichevole.
Che Dargui ci divida i suoi frutti succulenti – fieno con tutta
la sua secchezza profumata!
Tu servici le tue buone parole, enormi come l’ombelico
dell’Africa prodigiosa.
Quale cantore questa sera evocherà tutti gli Antenati
intorno a noi
intorno a noi il gregge pacifico delle bestie della boscaglia?
Chi accoglierà i nostri sogni sotto le palpebre delle stelle?
Ngom! rispondimi con il corriere della luna nuova.
Alla svolta della strada, andrò davanti alle tue parole nude
che esitano. Sono come l’uccellino che esce dalla gabbia
le tue parole così ingenuamente riunite; i dotti ne ridono, ma
a me restituiscono il surreale
e il latte mi zampilla sul viso.
Attendo la tua lettera all’ora in cui il mattino sconfigge la
morte nera.
La riceverò con animo pio come l’abluzione mattutina, come
la rugiada dell’aurora.

LEOPOLD SEDAR SENGHOR

Published in: on ottobre 14, 2018 at 07:37  Comments (2)  

Alla casa dei sogni

si va a piedi
ci si arriva con borse della spesa
_ catene da fantasmi perbene_
e sandali con zeppa tacco tre
tredici a me farebbero da trampoli
ma rasoterra si cammina adagio
qualche volta s’inciampa alle radici
dei pini che sollevano la strada
perché guardare lontananze e cielo
diverge le causali

_sembra d’essere uscita tempo fa_
nel mondo attuale è una fatica immane
essere andata e ritornata
bussare alla mia porta
ed aspettare che cristina m’apra

Cristina Bove

Published in: on ottobre 14, 2018 at 07:23  Comments (1)  

Ancor sgomento

Esile arbusto,

trepido di speranze,

ondeggiavo al vento

dell’atteso domani;

in quel tempo

nel fremer d’inconscio

il cercare chi ero

mi rendeva sgomento.

Oggi, albero adulto

temprato dalla vita,

in ricordi ed affetti

più ferma è la coscienza,

ma, il mio “io” è tuttora

sconosciuta stella…

e quel di me arcano

ancor mi fa sgomento.

 

Alberto Baroni

Published in: on ottobre 14, 2018 at 07:12  Comments (3)  

Il pastorello

Odo gli armenti

suonar campane a festa,

in transumanza mutar,

la grigia lana.

 

Sento la pioggia

sulla campagna triste,

e tuoni fragorosi,

suoni d’inverno.

 

Oltre le fronde

io conosco il vento,

il freddo delle fonti,

ed i miei fiori.

 

In questa valle

fra teneri germogli,

solo sarò viandante,

con i miei armenti.

 

Si diffonde in me

nello splendor di pace,

tra l’oro di betulle,

il vento tace.

 

Raffaele Saba

Published in: on ottobre 14, 2018 at 07:11  Comments (4)