Gazzella o giaguaro?

 
Se il dolore vive di
luce propria dentro
tane e anfratti
animale sanguigno e
diffidente
sarà una scattante
gazzella
che alle prime nevicate
salta fossi
o un giaguaro morbido
sinuoso
con baffi di vaniglia
che sorride
ai primi
caldi
sudori?
Dobbiam saperlo
per conoscerne
linguaggio e odore
litigarci o amarlo
scherzare o disprezzarlo
con sue parole. 
Altrimenti ci sfugge
e poi ci manca.

Tinti Baldini

Published in: on febbraio 26, 2012 at 07:47  Comments (21)  
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Credo in te anima mia

I believe in you my soul, the other I am must not abase itself to you,
And you must not be abased to the other.
Loaf with me on the grass, loose the stop from your throat,
Not words, not music or rhyme I want, not custom or lecture, not even the best,
Only the lull I like, the hum of your valved voice.
I mind how once we lay such a transparent summer morning,
How you settled your head athwart my hips, and gently turned over upon me,
And parted the shirt from my bosom bone, and plunged your tongue to my bare-stripped heart,
And reached till you felt my beard, and reached till you held my feet.
Swiftly arose and spread around me the peace and knowledge that pass all the argument of the earth,
And I know that the hand of God is the promise of my own,
And I know that the spirit of God is the brother of my own,
And that all the men ever born are also my brothers, and the women my sisters and lovers,
And that a kelson of the creation is love,
And limitless are leaves stiff or drooping in the fields,
And brown ants in the little wells beneath them,
And mossy scabs of the worm fence, heaped stones, elder, mullein and pokeweed.

§

Credo in te, anima mia,

l’altro che io sono non deve umiliarsi di fronte a te,

e tu non devi umiliarti di fronte a lui.

Ozia con me sull’erba,

libera la tua gola da ogni impedimento,

né parole, né musica o rima voglio,

né consuetudini né discorsi,

neppure i migliori, soltanto la tua calma voce bivalve,

il suo mormorio mi piace.

Penso a come una volta giacemmo,

un trasparente mattino d’estate,

come tu posasti la tua testa

di per traverso sul mio fianco

ti voltasti dolcemente verso di me,

e apristi la camicia sul mio petto,

e tuffasti la tua lingua sino al mio cuore snudato,

e ti stendesti sino a sentire la mia barba,

ti stendesti sino a prendere i miei piedi.

Veloce si alzò in me

e si diffuse intorno a me la pace e la conoscenza

che va oltre ogni argomento terreno,

io conosco che la mano di Dio è la promessa della mia,

e io conosco che lo spirito di Dio

è il fratello del mio,

e che tutti gli uomini mai venuti alla luce

sono miei fratelli e le donne sorelle ed amanti,

e che il fasciame della creazione è amore,

e che infinite sono le foglie rigide o languenti nei campi,

e le formiche brune nelle piccole tane sotto di loro,

e le incrostazioni muschiose del corroso recinto,

pietre ammucchiate, sambuco, verbasco ed elleboro.

WALT WHITMAN

Catartico tondeggio

ehhh ssì.

Facile lasciarsi assorbire
da teutoniche reminescenze:
troppo fredde, grandi,
ingestibili.

Ora le dita
non funzionano
tra le rime d’un spiegare qualcosa
in versi o parole povere.
(svigorite da strana stanchezza)

Nella preghiera
dell’aria serale,
di questa aria imbrunita
niente è più scontato
d’uno svegliarsi
al mattino
dopo il viaggio sveglio
nella capitale del sogno.

Ancora annego nel capire
complessati desideri,
verità di bronchiti
spiovute dal galattico astrale
ridimensionato al “razionale d’essere”

ma son queste asteroidi maledette
d’”appartenenza” che fan piovere
piedi scalzi sul bagnato
su una terra dove il nulla storico
rimbomba senza il suo senso

solo strafatto nel petto abitudinario.

Complesso e troppo nudo
il trapezio sospeso,
muto d’assolo
nella ribelle linfa della foglia
chè stiracchiandosi
ringrazia il solfeggio
solare boreale
taciturno nel suo amplesso
congiunto nell’ovvia nascita.

E’ in questo memorabile passato
che vivo d’insoddisfatta caparbietà.
Le parole forse trovano la nicchia
in tane secolari,
quando il verbo
non necessitava
di piegarsi
all’incestuoso dis-piegarsi
d’una giustificazione
in suono temporale
d’una bandiera sventolante
e
vocale.

Traballando s’un fieno
morbido
lascio vibrare,
così,
suon di cicala combattiva.

Perché il loro canto
sopravvive
oltre le colonne sudate
delle formiche….

Glò

Sospeso nella bruma

che partorisce dagli asfalti freddi,
prendo a passi lenti il panorama,
l’alba sorprende
passeggeri spediti senza tempo
giornali accartocciati nelle mani,
qualche balcone sveglio,
l’abbaio che dilaga nei carruggi,
allineate lune
su frappe delle tane
di buon mattino a giro di lavoro,
sbadiglia il mercatino,
una traversa guarda l’altra strada
macchinando il trasloco a primo intoppo
come un discorso chiuso dietro grate…
S’alza su greto in rapidi risvolti
il sole e inventa ninfee nello stagno,
attraversa il deserto sullo sfondo
dell’ape producente
con facoltà di pungere,
malvisto fuco innocuo
senza diritto a vivere,
come indirizzo a spettatori attenti
sulle strade.

Giuseppe Stracuzzi

Tao

Passi che mi cammino dentro
sommarie indicazioni sullo stato
reggono gambe
a partiture scomode
nessun itinerario

parlai di un sole nero
luce da bassifondi cosmici
somigliare ai cappelli delle monache
ai bargigli d’un gallo
al fingimento delle cocciniglie
se non vedi confondere le tane
con le radici morte
mai dire che ci sei se non ci sei
annunciarsi di vivere ci stanca

nell’intramontabile giornata
amore e morte vanno a titolare
compendi ponderosi di quisquilie
nessuno muore per davvero
ma
forse nessuno vive per davvero.
E chi ne scrive
oscuro-luminoso Atman
si fregia di uno stato
parla di sé
del chi
del che
non sa
ma sa

Cristina Bove

Di me che allora…Di me che ora

Mi piacerebbe raccontarvi
di tane e di bisbigli
ma nella stanza si nasconde e tace
la rima chiusa della bocca
in formato ridotto.

Arcobaleni tondeggianti
sullo stelo di rosa spampanata
e mi rifletto multipla
microscopici tonfi la caduta

Non voglio che pensiate
a ghirlande romantiche
non c’è niente da cingere d’alloro
anche le gocce
ciondolanti sui rami
paragonarle a lacrime fa ridere.

Ma questo no
starsene a braccia vuote a contenere
quell’io dimenticato di bocciolo
non ancora dischiuso
e ripararlo per assurdo
questo non vale
adesso.

Cristina Bove

Published in: on gennaio 7, 2010 at 07:22  Comments (6)  
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