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Gazzella o giaguaro?
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Catartico tondeggio
ehhh ssì.
Facile lasciarsi assorbire
da teutoniche reminescenze:
troppo fredde, grandi,
ingestibili.
Ora le dita
non funzionano
tra le rime d’un spiegare qualcosa
in versi o parole povere.
(svigorite da strana stanchezza)
Nella preghiera
dell’aria serale,
di questa aria imbrunita
niente è più scontato
d’uno svegliarsi
al mattino
dopo il viaggio sveglio
nella capitale del sogno.
Ancora annego nel capire
complessati desideri,
verità di bronchiti
spiovute dal galattico astrale
ridimensionato al “razionale d’essere”
…
ma son queste asteroidi maledette
d’”appartenenza” che fan piovere
piedi scalzi sul bagnato
su una terra dove il nulla storico
rimbomba senza il suo senso
…
solo strafatto nel petto abitudinario.
Complesso e troppo nudo
il trapezio sospeso,
muto d’assolo
nella ribelle linfa della foglia
chè stiracchiandosi
ringrazia il solfeggio
solare boreale
taciturno nel suo amplesso
congiunto nell’ovvia nascita.
E’ in questo memorabile passato
che vivo d’insoddisfatta caparbietà.
Le parole forse trovano la nicchia
in tane secolari,
quando il verbo
non necessitava
di piegarsi
all’incestuoso dis-piegarsi
d’una giustificazione
in suono temporale
d’una bandiera sventolante
e
vocale.
Traballando s’un fieno
morbido
lascio vibrare,
così,
suon di cicala combattiva.
Perché il loro canto
sopravvive
oltre le colonne sudate
delle formiche….
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Sospeso nella bruma
che partorisce dagli asfalti freddi,
prendo a passi lenti il panorama,
l’alba sorprende
passeggeri spediti senza tempo
giornali accartocciati nelle mani,
qualche balcone sveglio,
l’abbaio che dilaga nei carruggi,
allineate lune
su frappe delle tane
di buon mattino a giro di lavoro,
sbadiglia il mercatino,
una traversa guarda l’altra strada
macchinando il trasloco a primo intoppo
come un discorso chiuso dietro grate…
S’alza su greto in rapidi risvolti
il sole e inventa ninfee nello stagno,
attraversa il deserto sullo sfondo
dell’ape producente
con facoltà di pungere,
malvisto fuco innocuo
senza diritto a vivere,
come indirizzo a spettatori attenti
sulle strade.
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Di me che allora…Di me che ora
Mi piacerebbe raccontarvi
di tane e di bisbigli
ma nella stanza si nasconde e tace
la rima chiusa della bocca
in formato ridotto.
Arcobaleni tondeggianti
sullo stelo di rosa spampanata
e mi rifletto multipla
microscopici tonfi la caduta
Non voglio che pensiate
a ghirlande romantiche
non c’è niente da cingere d’alloro
anche le gocce
ciondolanti sui rami
paragonarle a lacrime fa ridere.
Ma questo no
starsene a braccia vuote a contenere
quell’io dimenticato di bocciolo
non ancora dischiuso
e ripararlo per assurdo
questo non vale
adesso.
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