Poesia in bici

 
Cerco in tutte le cose un suo respiro
una favilla che di nuovo illumini
e muova la mia penna a divorare
ingorda, il bianco del foglio;
ieri però me l’ha donata il mare:
schiumava, un po’ arrabbiato tra gli scogli
che lo sfiancano a un passo dalla riva;
era il mare di ottobre
senza grida di bimbi e il cicaleccio
di turisti accaldati. Solo due sposi
e più in là un peschereccio,
su nel cielo le strida dei gabbiani.
Lì nel pallido sole, sette amici,
sostiamo a ritemprarci e, sui panini
va la tensione della corsa in bici.
Di nuovo in sella, ancora c’inoltriamo
ballonzolando,  in sentieri sabbiosi
e crepitanti di aghi di pino
tra verdi sponde di fitta boscaglia
ove bacche tardive ancor rosseggiano
fin dove il bosco s’apre sulle rive
di acque palustri.
Case da pesca, reti sospese e ponti
immobili, ci vedon ritornare.
Romagna bella, alba dei miei avi
terra di ardimentosi e di poeti
or ti lasciamo per volger lo sguardo
verso il tramonto rosso e un po’ beffardo
e i quotidiani affanni, ma più lieti
d’aver intinto la penna nel tuo mare.

Viviana Santandrea

Venezia

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l’ Europa o l’ Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo – o la rabbia – di Porto Marghera…

Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d’ un grande ospedale;
aveva vent’ anni, un marito, e l’ anello nel dito:
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti…

Venezia è un’ albergo, San Marco è senz’ altro anche il nome di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d’ estate giocava con me nelle vuote domeniche d’ ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l’ acqua alla gola, e un dolore a livello del mare:
il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c’è solo il vagito di un bimbo che è nato, c’è solo la sirena di Mestre…

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale…

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità:
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino:
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti…

FRANCESCO GUCCINI

Roma

Roma è bugia tessuta da mani di Penelope
che nelle viuzze vestite
di sampietrini e orme reiterate di turisti
appena il giorno sorge, si scompone

Le albe li stringe nel grembo delle antiche statue
E monumenti, dal Colosseo che tiene le finestre
Sempre aperte, sino ai piccioni girovaganti
che il tempo hanno snobbato da tempo

Roma è nelle verità, celate nelle metrò assordanti
in cui passi storici annunciano le stazioni
sui pilastri sopravvissuti agli anni e secoli,
si regge come bella sposa in sella d’un cavallo

Roma ha fattezze di creta e marmo di Carrara
aristocratica, adornata di bronzo e oro
Roma è l’ottobre del mare, che l’anima
inquieta e lo riempie di verità e bugie.

Anileda Xeka

Primavera in città

Il viale era diritto davanti a noi.
I platani rimettevano i germogli.
Passavano automobili a passo d’uomo.
Il caffè aveva messo fuori
sulla loggia i tavolini;
i turisti vi indugiavano contenti.

VASCO PRATOLINI

Published in: on aprile 23, 2010 at 07:30  Comments (2)  
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