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Quanti messaggi volarono nel cielo,
quanti sogni attaccati al lungo filo
e gli urli che s’alzavano dal colle
dove partivano stentando gli aquiloni.
Povere cose, costruite a mano
con dei fogli vecchi di giornale
bloccati con rozza colla di farina
sulle canne intrecciate ad orditura.
E le code, lunghissime, a catena,
pazientemente unite una ad una
e messe al sole ad asciugare
perché la colla rapida non c’era
e mancavano anche i soldi per comprare
la colla di pesce puzzolente
che i falegnami usavano in quei tempi
per incollare le tavole tra loro.
E, poi, il pianto per qualche monetina
per comprare un rotolo di spago
per far salire in cielo l’aquilone,
che ognuno costruiva su misura
e colorava a volte con fronzoli fioriti
o ghirigori fantastici e mostruosi.
E quante prove e aggiustamenti al volo
servivano per alzare in cielo
quei nostri diversivi dell’infanzia,
ch’eran legati allora alle stagioni
come i frutti sugli alberi o sui rovi.
Ma una volta nel cielo ad ondeggiare,
si gareggiava dal basso urlanti e forsennati
a guidare quel filo all’infinito,
che non reggeva mai il tiro e si troncava,
spezzando la gioia dei nostri sogni
e la tanta felicità dei nostri cuori.
Salvatore Armando Santoro