Il signore non è benigno

Pioggia2

Il signore non è benigno con i mietitori e con gli ortolani.
Tintinnando cadono oblique piogge
E screziano i larghi mantelli delle acque
che prima specchiavano il cielo.

Prati e campi in un regno subacqueo,
e sciolti rigagnoli cantano, cantano,
sui rami gonfi le prugne scoppiano,
e le erbe distese marciscono.

E attraverso una fitta reticella d’acqua
io vedo il tuo volto gentile,
il parco silente, il capanno cinese
e il terrazzino rotondo dinanzi alla casa.

ANNA ANDREEVNA ACHMATOVA

Published in: on ottobre 20, 2015 at 07:51  Comments (2)  

Temporale

Quel temporale uggioso
Tuoni e lampi folgori e saette
E ancora tuoni
Due giorni è durato
A ingrigire le mie ore
Sbiancandomi le vene
Ho sprofondato le scarpe
In pozzanghere di lacrime
Inzuppato gli abiti di tristezza
M’ammalai
Ma stasera, guardando fuori
Da una finestra dell’anima
Ho intravisto un roseo tramonto
Nubi allegre come scolarette
Uscite da scuola
Domani ne sono certa
Il sole asciugherà
Questo inutile dolore

Danila Oppio

Published in: on ottobre 20, 2015 at 07:32  Comments (3)  

Ho capovolto una tela nera

sul bianco
ho impresso gli infiniti
colori dell’arcobaleno.
schizzi di luce improvvisa:
emancipazione totale
dai falsi bisogni.

Michela Turchi

Published in: on ottobre 20, 2015 at 07:27  Comments (2)  

Le mani di mia madre

Mani grandi mani contadine
Mani per punire mani per benedire
Mani per crescere figli
Mani a coprire sbadigli
Mani date in pegno per un caldo inverno
Ed una fresca estate
Mani a mollo per ore nell’acqua e sapone
Ore ed ore a lavare
In attesa del sole ad asciugare
Le mani e la pelle da salvare
Mani senz’anelli senza unghie laccate
Mani consumate
Dalla fatica degli anni
Dalla malattia dagli inganni
Mani invecchiate prima che il tempo
Battesse più lento
Mani per unire dividere e moltiplicare
Mani fredde esangui
Mani di mia Madre
Mani baciate

Maria Attanasio

Published in: on ottobre 20, 2015 at 07:18  Comments (5)  

L’aquilone

Quanti messaggi volarono nel cielo,
quanti sogni attaccati al lungo filo
e gli urli che s’alzavano dal colle
dove partivano stentando gli aquiloni.

Povere cose, costruite a mano
con dei fogli vecchi di giornale
bloccati con rozza colla di farina
sulle canne intrecciate ad orditura.

E le code, lunghissime, a catena,
pazientemente unite una ad una
e messe al sole ad asciugare
perché la colla rapida non c’era
e mancavano anche i soldi per comprare
la colla di pesce puzzolente
che i falegnami usavano in quei tempi
per incollare le tavole tra loro.

E, poi, il pianto per qualche monetina
per comprare un rotolo di spago
per far salire in cielo l’aquilone,
che ognuno costruiva su misura
e colorava a volte con fronzoli fioriti
o ghirigori fantastici e mostruosi.

E quante prove e aggiustamenti al volo
servivano per alzare in cielo
quei nostri diversivi dell’infanzia,
ch’eran legati allora alle stagioni
come i frutti sugli alberi o sui rovi.

Ma una volta nel cielo ad ondeggiare,
si gareggiava dal basso urlanti e forsennati
a guidare quel filo all’infinito,
che non reggeva mai il tiro e si troncava,
spezzando la gioia dei nostri sogni
e la tanta felicità dei nostri cuori.

Salvatore Armando Santoro

Published in: on ottobre 20, 2015 at 07:13  Comments (3)