Corrispondenze

CORRESPONDANCES

La nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.

Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.

Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
– Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,

Ayant l’expansion des choses infinies,
Comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens,
Qui chantent les transports de l’esprit et des sens.

§

Natura è un tempio in cui colonne vive
Talvolta lasciano uscire parole
Confuse; l’uomo vi passa attraverso
Foreste di simboli, che l’osservano
Con sguardi familiari. Come lunghi
Echi che in lontananza si confondono
In tenebrosa e profonda unità
Spaziosa come la notte e la luce,
Colori odori suoni si rispondono.
Ci sono odori freschi come carni
Di bimbi, dolci come gli oboi, verdi
Come i prati, – altri corrotti, ricchi
E trionfanti, hanno l’effusione
Delle cose infinite: l’ambra, il muschio,
Il benzoino e l’incenso, che cantano
Gli ardori dello spirito e dei sensi.

CHARLES BAUDELAIRE

Sono sempre stato povero

Sum fateor, semperque fui, Callistrate pauper,

Sed non obscurus nec male notus eques,

sed toto legor orbe frequens et dicitur ‘Hic est’,

quodque cinis paucis, hoc mihi vita dedit.

At tua centenis incumbunt tecta columnis

Et libertinas arca flagellat opes,

Magnaque Niliacae servit tibi glaeba Syenes,

Tondet et innumeros Gallica Parma greges.

Hoc ego tuque sumus: sed quod sum, non potes esse:

Tu quod es, e populo quilibet esse potest.

§

Sono, non lo nego, e sempre sono stato, o Callistrato, povero,
ma non sono uno sconosciuto e nemmeno un cavaliere di scarso valore,
bensì mi leggono spesso in tutto il mondo e di me dicono: <<È proprio lui!>>,
e ciò che a pochi dà la morte, a me la vita ha dato.
Pure la tua casa si regge su colonne a centinaia
e la tua cassaforte custodisce le tue ricchezze di liberto,
e i vasti terreni di Siene sul Nilo sono a tua disposizione,
e la gallica Parma tosa per te innumerevoli greggi.
Mettiamola così: quel che sono io, tu mai puoi essere;
quel che tu sei invece può diventarlo una qualsiasi mezza cartuccia.

PUBLIO VALERIO MARZIALE

(Epigrammi V, XIII – Traduzione di Lorenzo De Ninis)

Paologelo

Gli umani son grappoli viventi
attaccati all’albero della vita
come colonne nelle cattedrali
in una vicenda alterna ed infinita.
.
Acuta pena mondomateria infesto:
tuo male e mio dolore il Tuo sorriso
pare che, nel perderlo, si estingua…
.
Tetridolci meriggi decembrini
l’aere ed il ciel sono tiepidi ancora
il sole foglie ridipinge  indora,
improvviso in giardino ultime rose
ridono riflettendosi lucenti
nel lago terso dal cielo ridipinto.
.
Coronati da estrose praterie sonanti,
di conche, fronde, affascinanti
di serre incantate, di viole del pensiero,
camelie amaranto e nivee stelle,
genzianelle cilestri; felice manto.
.
Immaginato e dipinto  dal  Pittor
dei Pittori…ma è tardi: tutto gela.

Paolo Santangelo

Abbazia di San Galgano

Riposare mente e corpo
poter fare a meno
di sperare nella sorte
alzare gli occhi al cielo
tra gli archi e le colonne
di questo monastero
senza che l’anima debba chiedersi
se ciò che sente è vero.

E nei muri macchiati dal tempo
nei silenzi profondi
racchiusi in queste pareti di pietra
ritrovo qualcosa di perduto
o forse, meglio dire,
che non ho mai avuto
in tutta la mia vita

Nelle porte di legno massiccio
intrise di passato
nella luce tremolante
delle candele accese
nel profumo d’incenso
che mi pervade inebriante
ascolto sereno il tempo passare

Senza che nessuna paura
mi devasti la mente
o che un umano bisogno
ne alteri il pensiero
sono giunto fino a qui
seduto su questa panca
e come dalla cima di un monte
contemplo il mondo intero.

Sandro Orlandi

Firenze

Entro dei ponti tuoi multicolori

L’Arno presago quietamente arena

E in riflessi tranquilli frange appena

Archi severi tra sfiorir di fiori.

Azzurro l’arco dell’intercolonno

Trema rigato tra i palazzi eccelsi:

Candide righe nell’azzurro: persi

Voli: su bianca gioventù in colonne.

DINO CAMPANA

L’Africa

Tutto si smaltisce
con l’euforica corsa
al progresso.
Mani e menti
elaboratori di denaro
e potere
… … …
forse è solo un bisogno
di sopravvivenza
l’atto di svendita
di piccole essenze
private d’infanzia?

Tutto si smaltisce
con una corsa
alla comprensione
… (finta)…
del mondo occidentale
che scolpisce solide colonne
di educazione illusoria
smembrando famiglie
consumate dai morsi
della vera fame
… … …
un fiume in piena
che non scorre,
un pezzo di pane
mai cotto e profumato,
un assillo di parole
che non hanno né suono
né significato
se si da un senso lontano
alle ingiustizie
che ogni giorno
decolora un paese
mostrato e disegnato
da finte favole
di beneficenza.

E seduta
davanti ai poteri
di alte cariche
determinanti e ricche
(basterebbe un anello religioso
a sfamare piccoli desideri
di naturale sopravvivenza)
un brivido di movimento tellurico
solo alla vista dei tanti
“uomini e donne”
bianchi e grassi
di protagonismo ignorante
… … …
L’Africa muore ingoiata
in un morso d’alito
di confusionale indifferenza.

Glò

Catartico tondeggio

ehhh ssì.

Facile lasciarsi assorbire
da teutoniche reminescenze:
troppo fredde, grandi,
ingestibili.

Ora le dita
non funzionano
tra le rime d’un spiegare qualcosa
in versi o parole povere.
(svigorite da strana stanchezza)

Nella preghiera
dell’aria serale,
di questa aria imbrunita
niente è più scontato
d’uno svegliarsi
al mattino
dopo il viaggio sveglio
nella capitale del sogno.

Ancora annego nel capire
complessati desideri,
verità di bronchiti
spiovute dal galattico astrale
ridimensionato al “razionale d’essere”

ma son queste asteroidi maledette
d’”appartenenza” che fan piovere
piedi scalzi sul bagnato
su una terra dove il nulla storico
rimbomba senza il suo senso

solo strafatto nel petto abitudinario.

Complesso e troppo nudo
il trapezio sospeso,
muto d’assolo
nella ribelle linfa della foglia
chè stiracchiandosi
ringrazia il solfeggio
solare boreale
taciturno nel suo amplesso
congiunto nell’ovvia nascita.

E’ in questo memorabile passato
che vivo d’insoddisfatta caparbietà.
Le parole forse trovano la nicchia
in tane secolari,
quando il verbo
non necessitava
di piegarsi
all’incestuoso dis-piegarsi
d’una giustificazione
in suono temporale
d’una bandiera sventolante
e
vocale.

Traballando s’un fieno
morbido
lascio vibrare,
così,
suon di cicala combattiva.

Perché il loro canto
sopravvive
oltre le colonne sudate
delle formiche….

Glò