Roberta Bagnoli
ATTIMI DI TERRORE
Tra le mille ore felici
UNTER TAUSEND FROHEN STUNDEN
Unter tausend frohen Stunden,
So im Leben ich gefunden,
Blieb nur eine mir getreu;
Eine wo in tausend Schmerzen
Ich erfuhr in meinem Herzen,
Wer für uns gestorben sei.
Meine Welt war mir zerbrochen,
Wie von einem Wurm gestochen
Welkte Herz und Blüte mir;
Meines Lebens ganze Habe,
Jeder Wunsch lag mir im Grabe,
Und zur Qual war ich noch hier.
Da ich so im stillen krankte,
Ewig weint und weg verlangte,
Und nur blieb vor Angst und Wahn:
Ward mir plötzlich wie von oben
Weg des Grabes Stein geschoben,
Und mein Innres aufgetan.
Wen ich sah, und wen an seiner
Hand erblickte, frage keiner,
Ewig werd ich dies nur sehn;
Und von allen Lebensstunden
Wird nur die, wie meine Wunden,
Ewig heiter, offen stehn.
§
Tra le mille ore felici
che ho trascorso nella vita,
una sola in me resta per sempre:
quella in cui tra mille dolori
io sentii nel profondo del cuore
chi per noi morì di passione.
Il mio mondo era in frantumi
come se un verme lo avesse corroso,
vizza la fioritura del mio cuore;
ogni bene che avevo e che sognavo
nella vita era chiuso in una tomba,
qui stavo ancora per il mio tormento.
Piangevo sempre, anelando a fuggire
lontano, e in segreto mi torturavo,
davanti a me solo angoscia e inganno:
la pietra del sepolcro all’improvviso
come dall’alto mi fu sollevata,
e si dischiuse nell’intimo il cuore.
Chi ho visto, e chi alla sua mano
mi apparve, non chieda nessuno,
questo soltanto vedrò in eterno;
e questa sola, tra tutte le ore
della mia vita, serena e aperta
starà per sempre, come le mie piaghe.
NOVALIS
In attesa
Pensami nel silenzio
che ti circonda,
nel tormento della tua anima
tra le ombre della memoria
Raccogli i miei sogni,
donagli linfa vitale
fra le onde del mare in burrasca
con le note di un cielo stellato
Crudele è lasciarli in attesa
tra la polvere di parole in frantumi
che un vento oltraggioso disperde,
per poi farli morire
Certi sapori dolci
Il buio della notte
partorisce ombre,
culla di silenzi l’orizzonte.
Dalle pagine vecchie
d’altri tempi
certi sapori dolci
celati tra frantumi
di uno specchio
affiorano
ridenti
arrampicati
alle vetuste zolle…
l’onda evade
dall’isocronismo dei tamburi
straripa nei campi
sulle corsie fiorite…
primavera
come nebbia si aggira
pellegrina
tra pagine sbiadite
cantando
con la valigia
dell’odore antico
aspetta il treno.
L’Inganno
La prima volta
non sembri che acqua immacolata,
battesimale piovischio
discreto minuto,
quasi lusinga
sul peristilio sedotto
d’una antica Residenza.
Ed invece…
Al profilarsi irreale del levante
non spargi che umide schegge,
frantumi di schizzi crocchianti,
lontani calpestii.
Sono l’Ore nostre dolenti
dal boccio passito
ore sorbite ormai divorate.
Non sei che infinito ponente,
tronfio picchiettio delle dita
sulla corta parabola del Domani.
Un regolare cessare di cicli
dove Ieri è già meno d’un sogno
e l’Oggi non è che agonia.
Anima
Il vaso che t’ho donato
t’ho detto
abbine cura!
Gli hai appena
dedicato uno sguardo
e l’hai posato
in bilico
tra le correnti
finchè un soffio
l’ha spinto in frantumi
e ogni pezzo
si è nascosto
così in fondo
negli angoli bui
dove gli occhi
non arrivano e io
ci ho provato,
devi credermi,
a sistemarlo
e a quante ho
chiesto un aiuto:
un pezzo in una vecchia canzone
un pezzo in un quadro oscuro
un pezzo in una foto sbiadita
e tutti quelli che ritrovo
in un profumo, un rumore
in ogni mia poesia.
Casso sterrare
Sulla faccia tonda
cavalca
scavalca
l’allotropo complesso
di fiori
spine
serpi
di parole.
imprime al cielo
il senso del proprio essere.
Il sole
come colino intento a travasare
scogli badiali
a velo di frantumi
ostenta l’apparenza
mentre cala
nel buio della notte…
il tempo
come una ruspa
che lavora sempre
spinge le faci accese
contro l’ombre.
Sul vetro incrinato
Sul vetro incrinato,
aveva il ragno tessuto una tela.
Sul vetro,
il diamante dei tuoi occhi.
tracciò una riga.
In frantumi, il vetro
ruppe il silenzio degli alberi.
Restarono solo i tuoi occhi
e la luna:
nel mio sguardo cucirono,
insieme,
il loro sguardo.
NADER NADERPUR
Scegliere
Continuare ad accusarti
è come accusare
il sasso
che la mia mano
mi scaglia addosso;
colpevole fu il corpo
che ti scelse
ma ancor di più
la mente
che avvallò
e mentre cerco
di riordinare i frantumi
sono certo
che tra i pezzi
mancherà il coraggio
perché non era neanche prima
nell’intero.
Nel mio scrigno
Ho percorso tremando giorni
di tormentati monti.
Su e giù a violare vette,
avanzando incerto sull’orlo dell’essere.
Su e giù a non distinguere
le mie orme ghiacciate;
esiliato da freddi concetti,
arabescati frantumi di confuse sinestesie,
stupidamente appagato
dall’ostinazione di lancette esistenziali.
Sfinito anche nel sogno.
Finché ti ho sentita
sfiorarmi piano le ferite nel sonno,
e tutta una lunga notte
parlare alla mia anima
colorando,
cantando, carezzandole ricordi,
lenendo stanche piaghe.
Le hai mostrato sguardi,
sorrisi
orizzonti stupendi tra monti
e l’aurora, fatata creatura
ha strappato al buio colori
e ha fatto la notte una culla antica
atavico scrigno incantato
dove ora adagio tenero il domani