Il Delta del Po

AL DELTA DAL PO


Vâsc d’alevamànt pr’i péss,

udåur ed faggn apanna sghè,
la casléina cån dåu turàtt,
videocâmera
såura i zâl di canp ed furmànt
ed Vèc’ Pieter Bruegel,
bèl canpanéll dnanz a fûs ed canpâgn.
E intant la pasa
l’anulatrîz stereotipè bèla vétta…
E bum bum, buuum…
mo
in dóvv saggna in dóvv staggna
andànd?
I vôlen acsé
là in dóvv i pôlen quall ch’i vôlen,
e brisa fèr del dmand!

E fîrum a l’ånbra d n albarâz
i mâgnen is divérten,

ronf… roonf… ronfroonff…

zz… zzz… zzzz… zic!
e i se dsdàzden ed såurasèlt!
Uaaai, uaaah, mo che åura srèl?
(dû zûven is dan al petting).
Guardäggna äl foto? Nå,
äl diapo äl diapo!
Mo nåaa, che bèrba, la videocasatta!
Pén e tamarîs, dôn culurè,
la canta spass pr indvinî
dla dôna la beltè,
ciciricii, ciricicii, mo…
an i é gnanc un panén!
E da bàvver?
Veeeh, guèrda là,
ai é una fasèna! Però al fasàn
l’é pió elegant, cun el såu
pann variopénti! Eh, as sa,
i mâsti… E pasa la giurnèta, e
chisà… Canócc’ di canèl,
l’anziàn barcarôl,
la zentrèl ed sâbia,
al zlè slurp slurp, ah cum l’é bån!
al cavalîr d’Italia fantèsma,
l’idròvora e la lanterna…

E al vèsper
clap clap un sbatmàn
al Po dal Delta!

§

Vasche per piscicoltura,
odore di fieno appena segato,
la casina con due torrette,
videocamera
sui gialli dei campi di grano
di Vecchio Pieter Bruegel,
bel campanile dinanzi a fossi di campagne.
E intanto passa
l’annullatrice stereotipata bella vita…
E bum bum, buuum…
ma
dove siamo dove stiamo
andando?
Vogliono così
là dove possono ciò che vogliono,
e non far domande!

E fermi all’ombra d’un tremolo
mangiano si divertono,
poi
ronf… roonff… ronfroonff…
poi
zz… zzz… zzzz… zic!
e si svegliano di soprassalto!
Uaaai, uaaah, ma che ora sarà?
(due giovani si sbaciucchiano).
Vediamo le foto? No,
le diapo le diapo!
Ma nooo, che barba, la videocassetta!
Pini e tamerici, donne colorate,
canta spesso per sciarade
della donna la beltade,
cicciriciii, ciriciciii, ma…
non c’è neanche un panino!
E da bere?
Veeeh, guarda là,
c’è una fagiana! Però il fagiano
è più elegante, con le sue
penne variopinte! Eh, si sa,
i maschi… E passa la giornata, e
chissà… cannucce dei canali,
l’anziano barcarolo,
la centrale di sabbia,
il gelato slurp slurp, ah com’è buono!
il cavaliere d’Italia fantasma,
l’idrovora e il faro…

E al vespro
clap clap un applauso
al Po del Delta!

Sandro Sermenghi

Mentre l’eterno avvolge


Religione negli atomi dell’acqua
di vita in una eternità dorata,
sulla montagna di albiche cascate,
calli di pini giovani di muschio.

Il vortice nella città. È passato:
giorno, ansante, acre, irrespirabile.
Tutte le tinte, sensazioni strane,
le prospettive, scorci più impensati
son passati nel minuto affannoso…

Un rumor di ferraglie, notte nera,
Treno lontano che divora il piano:
biscia fosforescente, strìa di luce.

Suoni dal fiume. Il mistero del fuoco
è delicato come l’uragano
della mia pazzia. Non una sosta,
nella vita mia, si calcian ciottoli,
al buio, nella fonda notte senza
volere, sperando, mentre l’Eterno
avvolge gli altri Mondi vagabondi
in simbolitragedia dell’inferno
o dolce paradiso…
.                                  . Monte pieno
di passi, sassi che non vuoi calciare:
rumori vuoti di anime sporche
fanno la eco in miliardi di stelle.

Paolo Santangelo

Buon Natale Claudio!

Oggi il sogno di papà è stato realizzato… ed è stato possibile grazie a tutti voi.
A Massimo, anche se il loro viaggio insieme è stato breve, perchè hanno condiviso insieme tutto ciò che riguardava il loro passato, il loro presente e i loro sogni futuri come se si conoscessero da sempre.
A Tinti (Specchio) che ha collaborato e ispirato papà per diverse sue poesie… Tinti  cui papà diceva “si può amare un sogno se di sogno è fatta la poesia.”
A tutti gli amici del Cantiere, che hanno permesso che oggi ci sia “Giorni infiniti d’amore” e che  continuano a commentare le poesie di papà e a farlo come se lui fosse li, presente davanti al computer, a leggerli.
Siamo certi che ovunque sia ci veda e sarà felice di vedere che il suo viaggio con il Cantiere sia oggi per noi un qualcosa per sentire un po’ meno vuoto il nostro cuore.
Un abbraccio affettuoso
Rita  Francesca  Stefano

Cari amici, sono  commosso e felice di potervi annunciare che è finalmente pronto il libro di Claudio, quel libro che lui avrebbe tanto voluto e che tutto il Cantiere,  al di là dell’impegno strettamente tecnico mio, di Tinti e Maria, ha reso finalmente possibile: come infatti ci hanno appena detto la cara Rita e i figli Francesca e Stefano, questo è l’omaggio di tutti noi a Claudio, il segno che quel viaggio iniziato insieme a lui non si è interrotto, e che attraverso le sue parole possiamo sentirlo ancora in mezzo a noi, non come il ricordo di un amico lontano ma come una presenza viva che ci accompagna lungo la strada e ci regala ancora la musica, lo stupore, la grazia, l’affetto e l’ironia della sua poesia. Sono certo che anche voi, come lo sono io, sarete orgogliosi di aver contribuito con la vostra vicinanza e amicizia a dare forma compiuta a questo desiderio che era anche il suo.
Ma ora, bando ai toni celebrativi, perchè sicuramente Claudio direbbe che ci stiamo montando la testa…
Piuttosto, dimenticavo la cosa più importante, dove potete trovare  il libro fresco di stampa? Questo è il link della pagina di presentazione, sul sito della casa editrice Colibrì-GDS:

http://www.colibrigds.com/prodotti.asp?shop=140&intProdID=21531

Non avete da fare altro che registrarvi e potrete ordinare il libro nella sezione poesia (tra l’altro in vetrina troverete anche l’ultimo libro della nostra Roberta, la ” p.r.”  che ci ha messo in contatto con l’editore).
Nel frattempo colgo l’occasione per augurare a tutti i cantieristi, poeti, lettori e amici, un sereno Natale ed un felice anno nuovo, pieno di gioia e di poesia per tutti.
E sotto quest’albero, come si conviene in questo giorno, dopo aver scartato il regalo che abbiamo dedicato a lui, è la volta di scartare quello che ci fa il nostro caro amico, con i suoi versi pieni di nostalgia e dolcezza.  Buon Natale Claudio!



I vetri appannati di finestre chiuse,
dietro le quali piccola vita splende
come luce di ereditaria fede.
Pini decorati di intermittenti luci,
di sfere colorate e disegnate.
Profumi di dolci semplici e antichi
che riempiono l’aria e danno calore
di serenità cercata.
Torni indietro nel tempo e sorridi,
nell’amara vita un isola di ricordi
che nessuna tempesta devasta,
nella quale approdi per un momento
di nostalgica rimembranza.
Rimpiangi quell’età fuggita in fretta,
l’unico regalo sotto l’albero trovato,
al mattino dopo notte d’attesa per udire
il passo felpato della canuta figura
che timore incuteva  senza ragione.
Poi la resa e i sogni che ti cullavano.
Giorno di famiglia riunita e festosa,
di pranzo che troppo presto veniva
ad interrompere i giochi.
Il giorno dopo fu subito nuova vita,
il giocattolo dimenticato nella memoria
nuovi Natali senza più vera storia.
La vita non ci donò tregua.
A noi ora resta il passo felpato del dolce vecchio
che regalo posa e di nascosto gioisce
nel bambino che il suo posto ha preso.

Claudio Pompi

La sera fiesolana

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscio che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
trepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e sul grano che non è biondo ancora
e non è verde,
e sul fieno che già patì la falce
e trasloca,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amore più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

GABRIELE D’ANNUNZIO

Cimitero di Montichiari

Invano, la sgraziata andatura, il piede allatta
in questo cinerario di pini qui zittiti.
Poiché non è del vento la terra che calpesti,
ma di quell’aria immobile che ruggina anche il bere,
di umide marane fuori paese
e fieno, che ci fermenta in ogni narice
verso sera
quando più basso sosta, a dirci vita dura
su dalle concimaie
da quei bitumi morti
di vecchie costruzioni incompiute.
Qui è la storia
che ancora porta schegge sul vecchio campanile:
la fuga dei gerarchi
la lotta per salvare da grandine e rapine
quel poco che dagli orti veniva.
Qui tu arrivi
ad annotare un nome agli andati
a constatare, di quanto spazio ancora necessiti
quel sito,

che sempre più vicino alle case si fa, gli anni.

Massimo Botturi

Non conosco dei poeti il sentire

della penna che affonda nell’inchiostro,
la sorgente delle parole scritte
su pezzi di carta prendono forma
ti parlano, sorridono e piangono
o artigli ti piantano nella carne
squartandoti
come gli avvoltoi la preda

Né ulular loro comprendo, di paura
e sdegno e perdono, fuggir del cervo
nei boschi di pini tra rami di spine
della luce, lo strascico.

Potessi voltarmi in ciò che dico
e scrivo, mi chiamerei poeta anch’io
se in quel vuoto che mi divora
lo stomaco
m’emoziona se ancora una volta
quel grido o cenno gentile
che più non afferro e conosco
la finestra di un attimo serrata prima
ch’io spalanchi le pupille

No! Non sono un poeta , la parola
alla mia carne è straniera
e le mani non toccano l’anima
ucciderla o accarezzarla
più non mia –

per questo scrivo,
per il mio non essere poeta
per potermi seppellire l’anima prima
che mi seppellisca la parola .

Anileda Xeka

Vento a Tindari

Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull’acque
dell’isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima.

A te ignota è la terra
ove ogni giorno affondo
e segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo nel buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

SALVATORE QUASIMODO

Passerò per Piazza di Spagna

Sarà un cielo chiaro.

S’apriranno le strade

sul colle di pini e di pietra.

Il tumulto di strade

non muterà quell’aria ferma.

I fiori spruzzati

di colori alle fontane

occhieggeranno come donne

divertite. Le scale

le terrazze le rondini

canteranno nel sole.

S’aprirà quella strada,

le pietre canteranno,

il cuore batterà sussultando

come l’acqua nelle fontane –

sarà questa la voce

che salirà le tue scale.

Le finestre sapranno

l’odore della pietra e dell’aria

mattutina. S’aprirà una porta.

Il tumulto delle strade

sarà il tumulto del cuore

nella luce smarrita.

Sarai tu – ferma e chiara.

CESARE PAVESE

L’albero delle caramelle

C’era un albero
nel giardino di zucchero
tra pini e mandorli in fiore
aveva foglie di menta,
rami di liquirizia
da cui si potevano staccare
legnetti buoni da succhiare
o da mettere nel limone,
era un albero circondato
sempre da bambini e da gatti,
la sua ombra disegnava
chiome di spumiglie
e nuvole di zucchero filato,
le mamme in quel giardino
portavano cestini di pane
e le ciliegie erano tenere marmellate
da spalmare sulla mollica,
le briciole sotto l’albero
servivano agli uccelli,
ai piccoli pulcini
e ai colombi della fontana,
a Natale si ornava
di confetti rosa,
bonbon e bastoncini rossi
qualche lucina bianca,
si spolverava poi con panna
e zucchero a velo,
neve per leccar le dita,
qualche biscotto fatto a stella
e scorze d’arancia candita,
bambini di tutti i colori
l’ultimo giorno dell’anno
facevano un grande girotondo
attorno all’albero delle caramelle
di tutto il mondo,
ballavano e saltavano
cantando canzoni africane,
filastrocche in tutte le lingue,
era l’albero dolce
venuto da un seme di un paese lontano
per scartare in quel giardino
l’ora dell’infanzia più bella.

barche di carta

Per il mio cuore

PARA MI CORAZÓN

Para mi corazón basta tu pecho,
para tu libertad bastan mis alas.
Desde mi boca llegará hasta el cielo,
lo que estaba dormido sobre tu alma.
Es en ti la ilusión de cada día.
Llegas como el rocío a las corolas.
Socavas el horizonte con tu ausencia.
Eternamente en fuga como la ola.
He dicho que cantabas en el viento
como los pinos y como los mástiles.
Como ellos eres alta y taciturna.
Y entristeces de pronto, como un viaje.
Acogedora como un viejo camino.
Te pueblan ecos y voces nostálgicas.
Yo desperté y a veces emigran y huyen
pájaros que dormían en tu alma.

§

Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.

E in te l’illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l’orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l’onda.

Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.

PABLO NERUDA

Published in: on gennaio 28, 2010 at 07:10  Comments (3)  
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