L’onda dell’Atlantico lambisce
fino a perdita d’occhio la costiera,
il bianco della schiuma si intromette
tra palmeti che affollano la sabbia
gioca a sollevare qualche tronco
caduto, e ceppi morti
nuotano, scolpite due ragazze
coi seni nudi
coltivano nei passi l’eleganza
e bambini mostrano il sorriso
di denti bianchi
sullo sfondo nero
e gli occhi dolci
danno un canto al cuore.
Le lavandaie stanche di lavoro
su gusci di barche
fanno ritorno
a villaggio di case
coi tetti di paglia come nidi,
liete di stare insieme
si stringono,
in placido tripudio
si fondono
tramonto, verde, incanto.
Al centro dello spiazzo la magione
dell’anziano capo
sfoggia eleganza
in disegni scolpiti sulla soglia…
Ora si accende l’aria di colori,
suona tam tam di rulli e di tamburi
si ravviva il villaggio,
si illumina di danza
canto
giochi…
corpi sereni docili
al pennello degli occhi
danno l’acquarello dell’artista…
Africa
forza selvaggia,
fuoco di raggi accende
arsura, siccità…
pioggia che scroscia
inonda la savana
zebre giraffe antilopi elefanti,
saltano le gazzelle
sotto le grinfie acute di felini,
nelle radure corrono gli struzzi…
cascano l’acque
di imponenti rivi
estasi di fragore…
ma qualche automobile s’affaccia
sporca di fumo
la melodia selvaggia
e ludibrio si spande
a macchia d’olio
di ferro, di cemento
rompe l’incanto
il verso non selvaggio,
prepotente
della globalizzazione.
Da bambini si crede che tutto sia infinito
Miracolo
Andava da Betania a Gerusalemme,
oppresso anzi tempo dalla tristezza dei presentimenti.
Un cespuglio prunoso sull’erta era riarso,
su una vicina capanna il fumo stava fermo,
l’aria era rovente e immobili i giunchi
e immota la quiete del Mar Morto.
E nella sua amarezza che contendeva con quella del mare,
andava con una piccola folla di nuvole
per la strada polverosa verso un qualche alloggio,
in città, all’incontro coi discepoli.
E così immerso nelle sue riflessioni
che il campo per la melanconia prese a odorare d’assenzio.
Tutto tacque. Soltanto lui là in mezzo.
E la contrada s’era abbattuta nel sonno.
Tutto si confondeva: il calore e il deserto,
e le lucertole e le fonti e i torrenti.
Un fico si ergeva lì dappresso
senza neppure un frutto, solo rami e foglie.
E lui gli disse: «A cosa servi?
Che piacere ne ho della tua rigidità?
Io ho sete e desiderio, e tu sei uno sterile fiore,
e l’incontro con te è più squallido che col granito.
Oh, come sei increscioso e inutile!
Resta così, dunque, sino alla fine degli anni. »
Per il legno passò il fremito della maledizione
come la scintilla del lampo nel parafulmine.
E il fico fu ridotto in cenere.
Avessero avuto allora un attimo di libertà
le foglie, i rami, le radici e il tronco,
le leggi della natura sarebbero potute intervenire.
Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.
Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,
fulmineo ci raggiunge di sorpresa.
BORIS LEONIDOVIČ PASTERNAK
L’amore andato
Emozioni e rossori
a scoprire i segreti dell’anima,
quando l’amore era negato
e, gli appuntamenti, segreti di stato.
Battiti intensi nel petto,
come un frullar d’ali
inquieto e frettoloso.
Timori d’esser visti
e felicità
di due mani avvinte,
come un’edera a un tronco,
seduti sui gradini
di stradine acciottolate
o su muretti fuori mano
che guardavano il mare.
E poi il silenzio del cuore,
ed i ricordi
che ogni tanto ti rinnovano
tenerezze ormai finite,
archiviate sugli scaffali alti
d’una libreria
che solo tu sai ritrovare.
Specchio
Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.
SALVATORE QUASIMODO
Inutilità
Ho ascoltato le voci di fuori e di dentro
e vecchi impasti di parole stantie
come fosse dovuto un lamento.
Non sono certo d’avere compreso
il senso da dare alle cose
o il rumore dell’acqua che scende
prima di trasformarsi in vapore.
Mi sono impegnato ad incidere
muri di gomma
per lasciare una traccia
sul bagnasciuga del divenire.
Ho costruito effimere dighe
per fermare il tempo
e regalare quelle poche certezze
come castelli di carta
quando soffia il vento.
Non è rimasto più niente
salvo qualche tronco
inerte di fianco
per farmi tossire
quando ripasso ricordi.
L’anima dell’acqua
Forse troverai ancora la quaglia
acquattata nel ciuffo di stoppie
secche sull’argine del greto
a difendere l’ultimo nido.
Ma non avranno i nidiacei
che spighe abortite, pozze
crettate alla canicola del sole.
Un tempo sterminate messi
ondeggiavano al favonio estivo,
quando i dauni capanne rotonde
alzarono lungo i fiumi barattando
anfore colme di grano coi vicini.
Qui dove per tratturi di fango
torme di schiavi passarono trascinandosi
donne e bimbi magri come greggi,
fra giunchi marci bufali villosi
muggono immersi fino alle corna.
E l’acqua ha l’odore delle cose
morte attorno al fico contorto
solitario tronco sull’immobile
ristagno d’erbe putrescenti.
Un giorno forse dallo spirito del cielo
l’anima dell’acqua scenderà sulla terra.
CRISTANZIANO SERRICCHIO
Innamoramenti
Sono nato in primavera
nell’ aria profumata
sotto il sole che non brucia
tra il giallo, il verde, il rosso e l’ azzurro
com’ era dolce quella primavera
in cui, solo, lungo la strada
non riuscivo a sentire più il tempo
come se non esistesse,
com’ era dolce quella primavera
e com’ è lontana ora
mentre affondo le gambe
nella neve e sento
le ossa dei morti
spezzarsi sotto i piedi nudi
e ferirmi con miriadi di schegge
perché non li debba dimenticare
e voglio pensare che siano sterpi
e voglio credere di poter guarire,
dovrò tagliare i miei piedi
perché il freddo dell’ inverno
mi costringerà a perderli
e carponi la prossima primavera
sentirò da vicino
il profumo dei fiori
e sotto il giallo e il verde
e il rosso, così vicino, scorgerò
le tombe malcelate e saprò che un altro
inverno mi attende
e ancora, per il gelo
perderò le gambe e le braccia
solo il tronco resterà a primavera e
sarò disteso sopra quelle ossa
sotto quello splendido
ingannevole tremendo azzurro,
così mi coglierà l’ inverno pietoso
e non sarà più niente di me
solo il suono delle ossa
che si spezzeranno
sotto il passo
del prossimo illuso.
A un olmo secco
A UN OLMO SECO
Al olmo viejo, hendido por el rayo
y en su mitad podrido,
con las lluvias de abril y el sol de mayo
algunas hojas verdes le han salido.
¡El olmo centenario en la colina
que lame el Duero! Un musgo amarillento
le mancha la corteza blanquecina
al tronco carcomido y polvoriento.
No será, cual los álamos cantores
que guardan el camino y la ribera,
habitado de pardos ruiseñores.
Ejército de hormigas en hilera
va trepando por él, y en sus entrañas
urden sus telas grises las arañas.
Antes que te derribe, olmo del Duero,
con su hacha el leñador, y el carpintero
te convierta en melena de campana,
lanza de carro o yugo de carreta;
antes que rojo en el hogar, mañana,
ardas en alguna mísera caseta,
al borde de un camino;
antes que te descuaje un torbellino
y tronche el soplo de las sierras blancas;
antes que el río hasta la mar te empuje
por valles y barrancas,
olmo, quiero anotar en mi cartera
la gracia de tu rama verdecida.
Mi corazón espera
también, hacia la luz y hacia la vida,
otro milagro de la primavera.
§
Al vecchio olmo, spaccato dalla folgore
e nel mezzo marcito,
con le piogge d’aprile e il sole a maggio,
sono spuntate alcune verdi foglie.
Oh, l’olmo secolare sopra il colle
ch’è lambito dal Duero! La corteccia
bianchiccia da un gialligno musco è tinta
nel tronco putrefatto e polveroso.
Come i pioppi canori, che sorvegliano
il cammino e la riva, non sarà
di rossicci usignuoli popolato.
S’arrampica su esso di formiche
un esercito in fila, e nelle viscere
tramano i ragni le lor grigie tele.
Olmo del Duero, prima che t’abbatta
con l’ascia il legnaiuolo, e il falegname
ti trasformi in un mozzo di campana,
stanga di carro o giogo di carretta;
prima che rosso nel camino arda
domani in qualche misera casetta
sull’orlo d’una strada;
prima che ti annienti un turbine e ti schianti
il soffio delle candide montagne;
prima che il fiume ti sospinga al mare
per valli e per burroni,
olmo, voglio annotare nei miei appunti
la grazia del tuo ramo rinverdito.
Anche il mio cuore aspetta,
alla luce guardando ed alla vita,
altro prodigio della primavera.
ANTONIO MACHADO Y RUIZ
Gli alberi si disfanno all’interno di una sfera di nebbia
Les arbres se defont à l’intérieur d’une sphère de brouillard
Dans le brouillard qui entoure les arbres, les feuilles leur sont
dérobées; qui déjà, décontenancées par une lente oxydation,
et mortifiées par le retrait de la sève au profit
des fleurs e fruits, depuis les grosses chaleurs d’août
tenaient moins à eux.
Dans l’écorce des rigoles verticales se creusent par
où l’humidité jusqu’au sol est conduite à se désintéresser des
parties vives du tronc.
Les fleurs sont dispersées, le fruits sont déposés. Depuis
la plus jeune âge, la résignation de leurs qualités vives e de partie de leur
corps est devenue pour les arbres un exercise familier.
§
Nella nebbia che circonda gli alberi, le foglie sono
loro sottratte e queste, sconcertate da una lenta ossidazione,
e mortificate dal ritirarsi della linfa a vantaggio
di fiori e frutti, fin dalle grandi calure di agosto già
erano meno attaccate ad essi.
Nella scorza si scavano canaletti verticali attraverso cui
l’umidità del suolo è portata a disinteressarsi delle
parti vive del tronco.
I fiori sono dispersi, i frutti vengono deposti. Dalla
più tenera età, rassegnare qualità vive e parte dei loro
corpi è diventato per gli alberi un esercizio familiare.
FRANCIS PONGE